Butcher’s Crossing, di Gabe Polsky

Tratto dal romanzo di John Williams, un western amaro e disilluso che coinvolge ma rischia di girare a vuoto. Ottimi Nicholas Cage e Fred Hechinger. Grand Public

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1874. William Andrews (Fred Hechinger) è un giovane studente di buona famiglia che decide di abbandonare Harvard per scoprire il mondo e andare alla ricerca di se stesso. Lascia alle spalle l’agio famigliare e i sicuri banchi universitari per approdare nell’insignificante Butcher’s Crossing, un piccolo paesino di cacciatori di pelli di bufalo. Qui un vecchio conoscente del padre, ora commerciante di pelli, lo avvisa del rischio di trascorrere troppo tempo con i cacciatori. Persone spietate di cui non ci si può fidare, gente che ha ucciso troppo nella propria vita. Ma Will viene convinto dal burbero cacciatore Miller (Nicolas Cage) a finanziare una battuta di caccia imponente, la più ricca e importante di sempre a sentirlo parlare, ma forse anche la più rischiosa. Ciò che il giovane trova in Miller è un mentore, una figura da prendere come esempio, un vero uomo del West padrone del proprio destino. Will è acerbo e immaturo, probabilmente ha vissuto in una bolla di benessere per tutta la propria infanzia, non ha familiarità con il crudele mondo esterno ed è proprio quello che lo attira. Non ha patito la sete, non ha cavalcato abbastanza da avere un’infezione da sella, né tantomeno ha mai ucciso e visto uccidere come un cacciatore. Come si sentirà dire da Francine (Rachael Keller), la ragazza del saloon con cui non riesce ad avere un rapporto sessuale, “tu sei giovane e morbido, non sei come gli altri”. In viaggio Will vedrà con i propri occhi cosa significa fare quella vita, ma soprattutto riuscirà a comprendere la follia che c’è dietro a una caccia così scellerata come quella dei bufali.

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Parallelamente al binario narrativo del coming of age proprio di Will, scorre quello di Miller, un uomo pronto a tutto per conquistare il più grande bottino di sempre e dimostrare finalmente a tutti il suo valore. Non è altro che il famoso American Dream dopotutto. Miller in qualche modo impersona l’essenza stessa dell’essere americano, quella bulimia capitalista che ha portato verso fine Ottocento a sterminare decine di milioni di bufali. Non sarà mai abbastanza per lui, neanche quando ne avranno uccisi tanti da non riuscire neanche a trasportarli o a scuoiarli prima che diventino rigidi. Ormai non si tratta più di soldi o rispetto, è un annientamento metodico e spietato. Ogni morte trascina Miller sempre più a fondo in un oscuro vortice di follia a cui i compagni di viaggio non riescono a porre freno. L’irritante scuoiatore (Jeremy Bobb) tenta in vano di convincere Miller a tornare indietro, ma ormai è troppo tardi, è arrivato l’inverno e la strada sarà impraticabile fino alla primavera seguente. Quattro uomini intrappolati nel gelo di una montagna innevata, costretti a convivere a strettissimo contatto per sopravvivere, cibandosi esclusivamente delle proprie prede per lunghi mesi. L’atmosfera si fa sempre più tetra, le notti gelide e oscure. La tragedia è dietro l’angolo. Se era un’avventura quello che Will stava cercando, è un incubo quello che ha trovato. Il mondo sta cambiando, la conquista del West sta giungendo ormai alla fine e gli uomini come Miller sono destinati a trasformarsi o a estinguersi. La pelle di bufalo non ha più valore, così come tutto ciò che Miller rappresenta. Un uomo come lui sarà sempre fuori tempo e il successo non sarà mai nel suo destino. Will osserva da vicino il collasso totale del suo capobranco mentre si domanda se davvero ne sia valsa la pena.

Tratto dal romanzo del 1960 di John Williams, Butcher’s Crossing di Gabe Polsky è un western amaro e disilluso che gira spesso a vuoto e rischia di autocompiacersi. Il regista esagera a volte nel palesare ciò che vuole esprimere con una certa scena o con un certo personaggio; è talmente chiaro il discorso sulla mascolinità tossica che rischia di essere ridondante. I personaggi sono tutto sommato riusciti, in particolare Cage senza capelli, con barba e pipa è davvero potente. La scena in cui rasa la testa con un enorme coltello Bowie è già cult. Anche Hechinger è bravo a rivelare la trasformazione di Will da “morbido” a “duro” col solo uso dello sguardo e della gestualità. Butcher’s Crossing cade forse nella rappresentazione del genere, posticcia e pulita per essere un western, ma incanta con gli splendidi paesaggi e i dettagli dei bufali.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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