Ca’ Foscari Short Film Festival – Incontro con Pablo Berger
ll regista spagnolo ripercorre la sua carriera, parlando degli inizi, delle sue opere, tutte diverse ma con lo stesso DNA, dei suoi personaggi femminili, di come scrive e del futuro

Il Ca’ Foscari Short Film Festival è arrivato alla 15° edizione. Il cuore del Festival è il concorso internazionale di cortometraggi, di studenti di cinema e giovani registi, ma prevede anche una serie di programmi speciali, tra cui la masterclass con Pablo Berger.
Durante l’incontro con il pubblico, il regista sottolinea l’importanza dei cortometraggi per i giovani autori: “Per la mia carriera è stato fondamentale il mio primo cortometraggio, Mamá del 1988, che mi ha permesso di ottenere una borsa di studio per studiare cinema alla New York Film Academy”. I cortometraggi aiutano a sperimentare, aggiunge, ricordando il suo passato punk e di come porta avanti quest’attitudine, continuando a fare quello che gli piace e che gli viene da dentro: “Quando sei un regista punk, ci metti anni per realizzare i tuoi film e ne farai meno, ma saranno liberi, senza controlli esterni. È l’unico modo in cui so lavorare”.
La scelta di andare a New York fu influenzata dai suoi riferimenti di allora, Jim Jarmusch e Spike Lee. Lì ha capito quanto fosse difficile fare cinema, ma già ai tempi di Mamá ha trovato il suo pubblico: “Quando ho visto la gente ridere e partecipare alla prima di Mamá, ho capito che potevo fare quello che sentivo e avrei avuto un pubblico”.
Nel descrivere il suo primo film, Torremolinos 73, lo definisce “molto spagnolo e pieno delle mie ossessioni dell’epoca”. Paragona un regista a un barman che deve mixare diversi ingredienti: la Spagna anni ’70, il suo amore per il cinema e la musica, che è parte della sua vita (proviene da una famiglia di musicisti e sua moglie, Yuko Hamadi, è compositrice). Il protagonista diventa ossessionato da Bergman e dal cinema. Il film contiene anche degli elementi personali: “Io e mia moglie stavamo cercando di avere un figlio e c’erano difficoltà economiche”. Torremolinos 73 ha avuto molto successo, sia in Spagna che all’estero, e ha persino ispirato un remake cinese. Il film ha anche lanciato Mads Mikkelsen: “Nel film si vede nudo”, aggiunge scherzando.
Dopo il successo del primo lungometraggio, molti si aspettavano che continuasse sulla linea della commedia dark, ma lui voleva cambiare. Da qui nasce Blancanieves: “la mia natura va all’opposto: dopo il successo di Mamá, avrei potuto raccogliere i frutti, rimanere in Spagna, girare un film, invece sentivo che avevo molto da imparare e sono andato a New York. Anche dopo Torremolinos 73, ho fatto lo stesso ed ho scritto Blancanieves”. Il film, muto e in bianco e nero, è stato difficile da finanziare ma ha ottenuto un grande successo, arrivando a rappresentare la Spagna agli Oscar.
Anche per Abracadabra, il regista ha scelto di cambiare stile, pur mantenendo il realismo magico: “È pieno di colori, contemporaneo, matto e allo stesso tempo drammatico. È la mia lettera d’amore a Madrid e chiude la mia trilogia spagnola”. Come sempre, la musica ha un ruolo centrale, questa volta con un forte richiamo agli anni ’80.
Nei suoi film ci sono sempre forti figure femminili, un tratto comune anche a Pedro Almodóvar e Luis Buñuel. Berger spiega di essere cresciuto circondato da donne e di trovarle “più complesse e interessanti degli uomini”. In Torremolinos 73, la protagonista Carmen è forte e complessa, così come l’altra Carmen di Blancanieves: “Non è la Biancaneve che conosciamo, che cucina e pulisce. È la leader del gruppo”. Anche in Abracadabra c’è una protagonista di nome Carmen, un riferimento al mito letterario di Mérimée: “Il libro è fantastico”.
L’ultima sfida della sua carriera è stata l’animazione con Il mio amico Robot, il salto più grande. Come per Blancanieves, il film è muto: “Mi sono innamorato della graphic novel di Sara Varon, mi ha emozionato fino alle lacrime”. Il film tratta temi come amicizia, fragilità delle relazioni, i ricordi e il superamento del dolore. Pur rispettando il materiale originale, Berger ha creato un’opera personale: “Possiamo dire che la graphic novel è la melodia, se io fossi un musicista jazz non saprei improvvisare, quindi ho preso la melodia dalla graphic novel e volevo che rimanessero gli argomenti”.
New York è uno dei personaggi del film: “Ho vissuto lì per dieci anni e volevo che questa fosse la mia lettera d’amore alla città”. Ha amato il paragone che alcuni critici hanno fatto tra il Robot del film e Giulietta Masina in Giulietta degli Spiriti: “Definitivamente mi sono ispirato a lei, è una delle mie attrici preferite!”.
Berger ha apprezzato il processo di lavorazione dell’animazione: “Sono paziente, ci metto anni a fare un film. L’animazione è più lenta, puoi pensare a ogni dettaglio. Nel live-action devi prendere decisioni immediate, è una guerra”. Per lui, l’animazione permette di avvicinarsi ai sogni, creando esattamente le immagini che ha in mente. “Ho avuto un grande team, un grande produttore e il giusto tempo. Il film è quello che volevo”.
Il mio amico Robot è stato candidato all’Oscar 2023 per il miglior film d’animazione, vinto da Hayao Miyazaki con Il ragazzo e l’airone. Tuttavia, Berger ha coronato alcuni sogni, ha conosciuto Spielberg e pranzato con Scorsese. “Abbiamo un gruppo WhatsApp molto attivo”, scherza.
Il regista ha parlato anche del suo metodo di scrittura, dichiarandosi vecchia scuola: “Prima di essere un regista, sono un narratore. Ho bisogno di protagonista, antagonista, conflitto e risoluzione. Il mio processo parte dal caos e poi metto ordine. Il terzo atto e il finale devono essere chiari e forti”.
Salutando il pubblico, anticipa di essere al lavoro su un nuovo film, più internazionale rispetto ai suoi primi tre. Tuttavia, promette che avrà sempre il suo DNA: umanità, lucentezza, musica, storia d’amore, malinconia e humour.