Cahiers du cinéma: si dimette l’intera redazione

I 15 redattori della rivista cinematografica più famosa al mondo con questo clamoroso gesto contestano il conflitto di interessi della nuova proprietà. Ecco tutta la storia

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Ancora una volta i “Cahiers du Cinéma“, forse la rivista cinematografica più famosa al mondo, fondata nel 1951 da André Bazin, Jacques Doniol-Valcroze e Joseph-Marie Lo Duca, si situa al centro dei discorsi sul cinema e sulle mutazioni dell’editoria. Il motivo delle dimissioni in blocco degli attuali 15 redattori è essenzialmente questo: provare a far chiarezza su un tema ben più sostanzioso dell’aperta opposizione ad un cambio di proprietà.

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Richard Schlagman, ex capo delle edizioni Phaïdon, che aveva acquistato a sua volta il mensile da Le Monde nel 2009, ad inizio anno ha messo in vendita la proprietà dei Cahiers du Cinéma. Così il mese scorso la rivista è stata venduta a un gruppo di 20 azionisti. I nuovi proprietari sono guidati da Grégoire Chertok, amministratore delegato della banca d’investimento Rothschild & Co e consigliere parigino. Soprannominato “il banchiere cinefilo”, Chertok dirige una cordata che comprende Xavier Niel, il fondatore della società Internet Free e comproprietario del gruppo Le Monde, che gestisce l’omonimo giornale; Marc Simoncini, fondatore del sito di incontri online Meetic; Hugo Rubini, capo dell’omonima compagnia assicurativa cinematografica che copre il 40% delle produzioni francesi; e Alain Weill, fondatore del canale di notizie francese BFM TV, presidente e CEO della società di telecomunicazioni SFR Group e proprietario del quotidiano L’Express. Il gruppo ha al suo interno soprattutto, ed è questo l’elemento maggiore del clamoroso gesto di rottura della redazione, otto produttori cinematografici, tra cui Pascal Caucheteux, fondatore di Why Not Productions; Toufik Ayadi e Christophe Barral che sono dietro al successo cannense di Les Misérables di Ladi Yi; Frédéric Jouve e Marie Lecoq della società di produzione Les Films Velvet; Réginald de Guillebon e Marc du Pontavice. Come se non bastasse molti dei nuovi proprietari di Cahiers sono anche vicini al governo francese e ai sostenitori del presidente Emmanuel Macron: Chertok lavora nell’attuale governo e Simoncini ha sostenuto pubblicamente Macron durante le ultime elezioni. Insomma, la nuova proprietà manifesta una serie di intrecci economici, politici e culturali a cui era impossibile restare neutri.

Così il 27 Febbraio, dopo settimane di accese discussioni sulla possibilità di restare e fare opposizione dall’interno, l’attuale direttore Stéphane Delorme fa uscire un comunicato stampa firmato da tutti i collaboratori in cui motiva la scelta della dimissione attraverso la clausola di cessione, attivabile appunto in caso di cambio di proprietà: “Il nuovo gruppo di azionisti è composto da otto produttori. Ciò pone un serio problema di conflitto di interessi per una rivista di critica come la nostra. Infatti, qualsiasi articolo che tratterà dei film di questi produttori potrà essere sospettato di compiacenza“. In seguito la questione viene localizzata con ancor maggior precisione: “Rendere i Cahiers una vetrina per la promozione del cinema d’autore francese significherebbe quindi snaturare il nostro lavoro […]. In un momento in cui l’intera industria della stampa è stata letteralmente venduta ai grandi investitori della telecomunicazione e in cui i dirigenti di Meetic, Free e BFM “giocano” a fare i “business angels”, noi rifiutiamo tale concentrazione di testate una volta considerate libere nelle mani degli stessi“.

Una scelta coerente non solo con il passato più recente ma che si rifà allo spirito originario della rivista, nata per osteggiare il “cinema di papà“. Proprio Andrè Bazin scrisse nel 1951: “Siamo arrivati a un punto per cui il cinema è un mezzo espressivo per dire qualcosa. Ma il dramma è che il cinema francese non ha niente da dire, i francesi non dicono niente“. Bisogna ricordare che nonostante i cambi editoriali la scelta di andare spesso senza remore campanilistiche contro il cinema nazionale è stata perseguita, ad esempio, ancora nel 2015 quando la rivista ha pubblicato la sua copertina più politicamente impegnata sotto la direzione di Delorme, un fotogramma del film francese One Wild Moment ed il titolo “il vuoto politico del cinema francese“. L’editoriale di Delorme aveva inoltre esplicitamente indicato Dheepan di Jacques Audiard – vincitore a sorpresa della Palma d’Oro a Cannes – come esempio del tipo di “BFM-isation of brain cervins“, in cui i disordini sociali non sono un problema da risolvere politicamente ma solo un’ambientazione per un film d’azione. BFM TV è stata fondata da Weill e Dheepan è stato prodotto da Caucheteux, entrambi proprietari della rivista e, a dimostrazione del conflitto d’interessi, attuali produttori de Les Mirables.

La questione, in fondo, è sempre la stessa: è possibile aspirare a un editore puro nella nostra epoca globalizzata? O quantomeno lontano dal clamoroso conflitto d’interessi destato dalla proprietà di una rivista di cinema da parte di produttori di film? Di fronte ad un tema così fondamentale la scelta della redazione dei Cahiers ha avuto il merito di radicalizzare la questione ponendola all’attenzione del mondo. A questa ferma opposizione la proprietà ha  comunque risposto obiettando che aveva chiesto soltanto di essere più “conviviale e chic” verso i film francesi. Attendiamo ulteriori sviluppi su questa difficile negoziazione tra “parti” che sembrano decisamente distanti.

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