Calcutta – Tutti in piedi, di Giorgio Testi

il film-concerto condensa il romanzo di formazione, da pura rivincita dei nerd, di un antidivo spontaneo che sottovoce ha conquistato platee trasversali. Tutte col cuore a mille. In sala da oggi

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Gli eventi al cinema sono una pratica strana. Più i nostri consumi culturali acquistano una dimensione domestica e privata più, paradossalmente, siamo invitati al rito sacrale della sala per occasioni speciali che tanto speciali non sono più se arrivano una volta una settimana, dall’anniversario cinematografico al biopic documentario al film-concerto.

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Bomba Dischi sorprende con questa iniziativa dedicata al nome più noto della sua giovane ma folta scuderia, Calcutta, al secolo Edoardo D’Erme, nato con un piccolo album home-made, Forse, esploso – almeno tra i frequentatori della musica indie – nel 2015 con Mainstream e consacrato quest’anno da Evergreen che, con una calibratissima strategia di marketing, è diventato dapprima evento live – solo due tappe estive, a Latina e all’Arena di Verona – e ora cinematografico, in attesa delle date invernali.

Perché dovremmo andare al cinema a vedere un concerto di Calcutta? Non troverete la risposta in questa “recensione”. Ovviamente il suo pubblico, quello che “una cantina buia dove noi non l’abbiamo avuta mai” sa già tutto quel che c’è da sapere.
Ha ascoltato i live su Spotify, anche quelli in cui il Nostro presentava Pomezia dedicandola “alla strada statale Pontina che – pare – “mi ha sempre regalato grandi soddisfazioni” e ha consumato su Youtube i video realizzati da Francesco Lettieri, come Che cosa mi manchi a fare o Orgasmo, storie minimal tra i vicoli del Pigneto che si sono allargate fino all'(auto)celebrazione est europea di Kiwi.

Così come conosce già le sue storie Instagram, attraverso cui apprendere affinità, gusti e abitudini. Questo Calcutta-Tutti in piedi diventa allora quasi un bignami per i pigri che non abbiano voglia di scrollare su e giù tra un social e l’altro e ha il pregio di evidenziare la qualità non tanto cinematografica quanto narrativa tout court del personaggio Calcutta, al di là dell’esecuzione live dei pezzi, che si va via via sempre più professionale, rispetto ai primi live più di livello seguiti all’uscita di Mainstream.

Perché il vero cuore del nuovo lavoro di Giorgio Testi – cervello in fuga del videoclip, che in quel di Londra ha lavorato con i Libertines, Amy Winehouse, sua maestà Damon Albarn ed è ora alla seconda uscita nel 2018, dopo la presentazione al Festival di Roma di Noi siamo Afterhours – non sono le grafiche da smartphone o i virtuosismi da live, ché Calcutta non è né Roger Waters né la sua musica ha l’impatto fisico di Agnelli & soci.

Però Tutti in piedi racconta il viaggio di un giovanotto che dall’Agro Pontino ha risalito tutta l’Italia fino ad arrivare all’Arena di Verona, luogo metafisico per la musica italiana, memoria storica di quel Festivalbar che riempiva le estati innocenti delle generazioni dei 30-40enni, tra ombrelloni e cornetti Algida, per dirla con un immaginario alla Tommaso Paradiso.
In questo senso, il concerto condensa il romanzo di formazione, da pura rivincita dei nerd, di un antidivo spontaneo che sottovoce ha conquistato platee trasversali, mostrandosi a suo agio tanto col nuovo cantautorato di Brunori Sas quanto col il pop televisivo dei talent rappresentato dalla brava Francesca Michielin, guest-star per l’occasione prestigiosa.
E sono tutti davvero in piedi a cantare le sue canzoni, catturati dalle telecamere che insinuano fra il pubblico: come in un Fronte del palco per millennials, coppie di innamorati, ragazzine che conoscono tutte le parole, bambini sulle spalle dei giovani padri, ma anche signore più mature prese bene come adolescenti.
Tutti rigorosamente col cuore a mille.

Regia: Giorgio Testi
Origine: Italia, 2018
Durata: 85′

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