Calibro 9, di Toni D’Angelo

Sequel di Milano Calibro 9, il film è filologicamente esemplare. È inizialmente frenato poi riesce ad entrare nel vivo dell’azione e l’omaggio al poliziottesco è autentico. Fuori concorso al #TFF38

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Le prove con il poliziottesco Toni D’Angelo le aveva già fatte tre anni fa con Falchi. Ma con Calibro 9 l’operazione diventa consapevole, dichiarata. L’omaggio è già scoperto nella dedica finale a Fernando Di Leo ed Ermanno Curti; il primo è stato uno fondamentali cineasti nel genere nel cinema italiano degli anni ’70 e questo film è il sequel di uno dei suoi titoli fondamentali della sua filmografia, Milano calibro 9 del 1972. L’altro è invece è stato il produttore di quel film e di molti altri titoli di Di Leo. Calibro 9 è infatti prodotto e scritto dal figlio Gianluca Curti e alla sceneggiatura hanno collaborato, oltre al regista, anche Luca Poldelmengo e Marco Martani. Gli agganci sono numerosi. Si può partire dalla foto della tomba del Ugo Piazza (con il volto di Gastone Moschin) a sua moglie Nelly Bordon, che anche in questo sequel è interpretata da Barbara Bouchet fino a Rocco Musco che stavolta ha il volto di Michele Placido invece di quello di Mario Adorf. E nel finale del film di Di Leo è rimasta celebre la sua frase urlata: “Tu, quando vedi uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare!”.

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L’azione si sposta ai giorni d’oggi. L’ambientazone principale è a Milano, mi ci si sposta da Francoforte a Montecarlo, da Toronto a Mosca fino a Reggio Calabria e al porto di Anversa. Fernando (Marco Bocci), il figlio di Ugo Piazza, è un brillante avvocato penalista a cui viene data la caccia dopo che scompaiono i 100 milioni di euro che lui aveva deciso di far dirottare da un hacker mentre il bottino apparteneva alla ‘ndrangheta. In seguito a questa truffa telematica finisce in mezzo alla guerra tra i clan Corapi e Scarfò e la sua vita è in pericolo. Entrano in gioco anche Maia Corapi (Ksenia Rappoport),  che un tempo è stata proprio la compagna di Fernando, un commissario (Alessio Boni) che mentre ha in affido il figlio ha in casa un tabellone dove appunta i legami tra i due clan e lo stesso Musco che rientra in campo dopo essere uscito dal carcere.

L’operazione è filologicamente esemplare. Calibro 9 cerca non solo di fare un omaggio ma proprio un legame emotivo con quel cinema. Forse per questo il ‘romanzo criminale’ di Toni D’Angelo appare inizialmente frenato dalle troppe indicazioni sui personaggi, dai frequenti salti temporali tra passato e presente. Alo tempo stesso però Calibro 9 è anche un crime-action che pensa in grande e rimbalza tra spazi geografici diversi come un film della saga di Jason Bourne o Mission: Impossible. La faccia di Placido che esce dal carcere o incontra Fernando in discoteca è gia una reincarnazione momentanea di quelle magnifiche facce da carogna del poliziottesco. Poi il si scioglie progressivamente già dal modo in cui viene filmata la violenza nella scena dell’aggressione a Fernando e a sua madre Nelly. Ed entra sempre più nel vivo con la scena dell’inseguimento sul tetto. Certo, ogni tanto D’Angelo si fa prendere anche la mano come nell’inquadratura dai fori del cartello stradale di un paesino della Calabria. Ma lo slancio verso quella stagione del cinema italiano è autentico e appassionato. E riesce a entrare nei tormenti di ogni figura, da Marco Bocci ad Alessio Boni a Ksenia Rappoprt. Ognuno con un segreto e una sfida.

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (7 voti)
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