#Cannes 2016 – Ma Loute, di Bruno Dumont

Il cinema del cineasta francese (natura, sessualità, violenza) in una nuova svolta comico/grottesca intrapresa dalla serie tv P’tit Quinquin che affascina per l’improvvisa incoscienza. In concorso

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Ci piace la svolta dell’ultimo Bruno Dumont. La direzione comica intrapresa dalla serie tv P’tit Quinquin prosegue, anzi si estende in Ma Loute. Ci sono ancora luoghi arcaici segnati da una natura quasi incontaminata stuprata dalla presenza di una villa in stile egiziano.

--------------------------------------------------------------
IL NUOVO #SENTIERISELVAGGI21ST N.17 È ARRIVATO! in offerta a soli 13 euro

--------------------------------------------------------------

Ed è sempre presente lo scarto tra violenza e sessualità, segno di una passione animalesca. Come se i corpi di La vie de Jesus e Hors Satan fossero stati trasferiti in un set sterminato simile a Werner Herzog, dove la luce prevale sull’ombra, dove i suoni delle parole diventano il principale elemento di deformazione che anticipa quello dei corpi.

Nella baia di la Slack, nel Nord della Francia, nell’estate del 1910, avvengono delle misteriose sparizioni. Il grassso ispettore Machin e il suo fedele collaboratore Malfoy, stanno conducendo malamente l’inchiesta. Nel frattempo scoppia una passione tra due adolescenti, Ma loute, figlio di una famiglia di pescatori che hanno abitudini molto particolari e Billie, appartenente alla ricca e decadente famiglia dei Van Peteghem.

ma louteInnanzitutto l’aspetto caricaturale. Spinto all’eccesso. Fabrice Luchini cammina alla Alberto Sordi con la gobba e le braccia che accompagnano i suoi passi, Juliette Binoche sembra mutare come in un film di Robert Zemeckis e Valeria Bruni Tedeschi è manovrata come una marionetta. Dumont gira come se stesse facendo i primi esperimenti cinematografici. Forse l’anno di ambientazione non è casuale. Ci sono, sotterranee, tutte le tracce del muto. Lo stupore di guardare gli eventi, la sorpresa di comportamenti anomali (la traversata della baia con le persone in braccio è già un effetto speciale), dei dialoghi dove i suoni prevalgono sulle parole come se il regista francese si illudesse di fare i primi esperimenti sonori mettendosi sulla strada di Jacques Tati. Con voli nell’aria come un trucco di Georges Méliès, cadute reiterate per terra degne di una screwball comedy. Segno di un caricamento corporeo dichiaratamente troppo forte. Come se i personaggi non riuscissero a reggere il peso fisico del make-up. In questo contesto c’è poi l’animalità selvaggia del suo cinema: il cannibalismo, una passione con sguardi che sono già atti sessuali, il non-luogo isolato dal mondo come il manicomio di Camille Claudel, 1915. E una camminata di Billie tra le foglie, figura che non nasconde ma esibisce il suo doppio, la presenza del vento, del mare in tempesta che caratterizza una delle scene più belle del film, quello della barca persa nel mare in tempesta.

Dumont suona le sue ‘lezioni di piano’, rivela sin da subito l’altra faccia dell’apparenza, balla tra i meccanismi di un vecchio feuilleton mostrando la possibilità ma anche l’utopia di una serialità. Il gioco è così scoperto, le maschere sono così visibili che l’esagerazione diventa pienamente funzionale. Una nuova deriva di un cinema che ora si ha voglia di esplorare nuovamente. Anche tornando nel passato sotto una nuova luce.

--------------------------------------------------------------
CORSO COLOR CORRECTION con DA VINCI, DAL 5 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative