CANNES 56 – "Ce jours là" di Raoul Ruiz (Concorso)

Tra favola politica e poliziesco, una genealogia del crimine dagli esiti più alti del cinema di Ruiz, che aspira a raggiungere il principio di in/animazione lasciando sullo sfondo l'oppressiva presenza di una Svizzera chiusa come un romanzo di Dürrenmatt

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

La follia visionaria del cileno Raoul Ruiz sembra raggiungere con Ce jours-là il proprio punto estremo. La natura "senza nazionalità", "senza terra" di Ruiz (che ha realizzato, tra gli altri, anche film con produzioni francesi e italiane)  viene già manifestata dai titoli di testa dove c'è espressamente scritto "un film elvetico di Raoul Ruiz". Dal paesaggio fisso di una strada di campagna avvolta nella nebbia, al volto di una ragazza, Livia (interpretata da Elsa Zylbertstein) che afferma che "domani sarà il giorno più bello della sua vita", Ruiz compone avvolgenti geometrie nella presenza della profondità di campo, nel costruire un set determinante con l'abitazione in cui vive la ragazza, che diventa teatro  di un infinita rappresentazione, dove dentro/fuori l'inquadratura fissa avvengono i molteplici movimenti  della ragazza e di Pointpoirot (Bernard Girardeau) un uomo senza passato che la asseconda nella logicità del proprio disegno folle. Ruiz spoglia i personaggi di ogni motivazione, inserendoli in una dimensione quasi surrealista tra la favola politica e il film poliziesco, in cui quel chiarore mortale delle immagini di De Almeida sembra sempre pietrificare i personaggi nei loro luoghi, immortarli come nella sequenza delle figure morte disposte in una tavola da pranzo o li pone in un osteria dove è come se vengono provvisoriamente privati della loro identità, dalla figura dei poliziotti a quella del padre della ragazza (interpretato da Michel Piccoli), corpo che attraversa tutti gli spazi con una gravità fantasmatica. Dietro le pareti (bianche e rosse) che appaiono come i fondali di un teatro, Ruiz rende il proprio gioco allegorico straordinariamente funzionale e diretto. Dietro quegli spazi c'è proprio l'inquietante presenza dello stato della Svizzera in cui il film sembra possedere quell'oppressiva chiusura dei romanzi di Dürrenmatt. Una genealogia del crimine progressiva di grande livello, in un'opera che aspira proprio a raggiungere il principio di in/animazione per estendere il peso del set proprio nelle forme cromatiche e nelle disposizioni prospettiche delle singole immagini.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array