CANNES 59 – Bilancio in rosso

Festival sorprendentemente deludente, sottolineato anche da un deludente verdetto della giuria. I "colpi di fulmine" di "Sentieri Selvaggi, da Sofia Coppola a Nanni Moretti, da Lucas Belvaux a Lou Ye restano completamente ignorati dal Palmares. Cambia il cinema o cambiano i gusti. Una riflessione finale sull'edizione n.59.

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È stato un ritardo voluto quello con cui si pubblica l'articolo finale sulla 59° edizione del Festival di Cannes. Un ritardo per cercare di capire se il livello del festival è stato davvero e sorprendentemente così deludente come si è spesso riportato dai resoconti quotidiani del festival, oppure se si trattava di uno sguardo poco attento, forse distratto, una stanchezza da parte di "Sentieri Selvaggi" che ha fatto in modo di recensire e liquidare sbrigativamente certi film.

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Può molto spesso capitare (e continuerà a capitare) di prendere degli abbagli critici, soprattutto dai festival. Sia in senso positivo sia negativo. Accade infatti di sopravvalutare certi film e di sottovalutarne altri. Poi, quando lo stesso film viene rivisto in sala, in condizioni più umane (non assieme ad altre quattro pellicole, un panino tra pranzo e cena e 10 caffè), cambia quasi i connotati e diventa quasi un'altra cosa, o almeno differente, rispetto al primo contatto avvenuto al festival.


Si sa, i film cambiano nel tempo. Resistono e risultano modernissimi anche dopo 50 anni. Diventano terribilmente datati dopo un mese.


Questa premessa è stata necessaria per sottolineare come questa volta Cannes abbia lasciato poche certezze e molti punti interrogativi. Lascia abbastanza sorpresi la dichiarazione della giurata Monica Bellucci secondo la quale c'erano troppi film belli e troppi pochi premi. Stavolta, è sembrato che c'erano troppi premi e troppo pochi film belli.  Sembra che la giuria presieduta da Wong Kar-wai abbia scelto in parte un taglio "politico" nella Palma d'oro all'onesto ma povero The Wind that Shakes the Barley di Ken Loach, viaggio indietro nel tempo nell'Irlanda degli anni Venti o al premio collettivo per gli attori di Indigénes di Rachid Bouchareb. Questo ultimo riconoscimento diventa speculare al gruppo di Volver di Almodòvar dove la Cruz avrebbe probabilmente meritato di non dividerlo con le altri attrici del cast. Per il resto, in un festival così in sordina per quanto riguarda la competizione ufficiale, non possono non risaltare le provocazioni di Dumont, Gran premio della giuria per Flandres, o il narcisismo senza freni di Iñàrritu, premio per la regia per Babel. Il Palmares di quest'anno può apparire, almeno parzialmente, in sintonia con i gusti di "Sentieri Selvaggi", solo per Red Road di Andrea Arnold (premio della giuria), soprattutto per come il film riesce a crescere in maniera decisiva nella seconda parte e liberarsi di quella fastidiosa struttura teorico/visiva/voyeristica dell'inizio.

Il grande escluso, soprattutto rispetto alle previsioni, è proprio Almodòvar. La sua vittoria quest'anno la davano tutti per sicura. Gli indizi erano numerosi. Tra le voci che si sono rincorse durante il festival c'era quella secondo la quale il regista spagnolo, che manifestò apertamente la sua delusione nel 1999 per la mancata assegnazione del massimo riconoscimento (ottenne la Palma per la miglior regia), sia venuto sulla Croisette solo per vincere la Palma d'oro altrimenti non sarebbe mai più tornato. Inoltre Wong Kar-wai è sempre stato un estimatore del suo cinema. Invece, oltre al premio delle attrici, a Volver è toccato solo quello per la sceneggiatura. Poi, tra l'edizione del 1999 e quella di quest'anno si è creata una situazione speculare dove Dumont (Gran Premio della giuria anche quell'anno per L'humanité) ha sempre sconfitto Almodòvar. Sarà davvero l'ultima volta che il cineasta spagnolo sarà presente a Cannes?


Da questo palmares sono rimasti esclusi Il caimano di Moretti e Maria Antonietta della Coppola. Passi per il primo, che aveva già vinto la Palma d'Oro con il suo film precedente, La stanza del figlio (anche se poi Cannes è abituata a premiare più volte gli stessi registi come è accaduto l'anno scorso con i fratelli Dardenne). Ma è davvero sorprendente che un film innovativo, sorprendente, vibrante come quello della regista di Lost In Translation sia stato completamente ignorato dalla giuria. Di questa modestissima competizione, oltre allo straordinario Maria Antonietta, ci si porta dietro solo pochi colpi di fulmine. Uno è il melodramma storico/privato Summer Palace di Lou Ye e l'altro è l'affascinante polar La raison du plus faible di Lucas Belvaux. Ci sono poi stati altri bagliori fuori concorso come quella ricerca familiare che penetra in set quasi da noir di un altro film cinese Luxury Car di Wang Chao (Premio "Un certain regard") e lo straordinario documentario di Pollack sul grande architetto Frank Gehry in Sketches of Frank Gehry.


Dalla Croisette ci si porta comunque a casa qualcosa. Ma quest'anno è davvero poco. Troppo poco. Soprattutto per come ha abituato Cannes nelle scorse edizioni. Forse stanno cambiando i gusti, forse il cinema oggi è quello che ha proposto Cannes quest'ano e gli autori da seguire quelli premiati dalla giuria. Tutto può essere ma speriamo che non sia davvero così.


 

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