CANNES 59 – "Summer Palace", di Lou Ye (Concorso)
Il film del cineasta cinese ha sicuramente una sua dichiarata dimensione politica, ma soprattutto rappresenta una vibrante commistione tra melodramma e musical, intenso nel momento in cui filma le intermittenze del cuore di Yu Hong dove la protagonista (interpretata da una sorprendente Hao Lei) mette in gioco tutta la sua anima e il suo corpo
Si apre ufficialmente il concorso di questa 59° edizione del festival di Cannes con Summer Palace, quarto lungometraggio diretto dal quarantunenne regista cinese Lou Ye, già presente in concorso nel 2003 sulla Croisette con Purple Butterfly. Come in quest'altro film, anche in Summer Palace vengono rappresentati alcune mutazioni storiche decisive per la Cina che scorrono su un piano parallelo alla vicenda privata dei protagonisti. Se in Purple Butterfly l'arco temporale copriva un periodo che andava dal 1928 al 1937 con le immagini di Shanghai invasa dalle truppe giapponesi nel 1931, Summer Palace invece è ambientato dal 1987 alla fine degli anni Novanta. Al centro della vicenda c'è Yu Hong, una ragazza che parte da Tumen, una città del nord-est del paese, per andare a studiare all'università di Pechino.Qui s'innamora follemente di un altro studente, Zhou Wei, con cui vive un'intensa quanto travagliata passione amorosa. Contemporaneamente, Summer Palace entra nel cuore di una trasformazione storica con gli eventi di Piazza Tian An Men, infrange lo spazio spingendosi fino a Berlino, dove attraverso filmati documentari si vede la caduta del muro. Summer Palace è quindi un'opera capace di infrangere barriere, un film certamente politico dove lo sguardo di Lou Ye sembra entrare proprio in prima persona, ma soprattutto rappresenta una vibrante commistione tra melodramma e musical, intenso nel momento in cui filma le intermittenze del cuore di Yu Hong dove la protagonista (interpretata da una sorprendente Hao Lei) mette in gioco tutta la sua anima e il suo corpo. È un film totalmente fisico Summer Palace nell'atto in cui filma gli atti sessuali, le traiettorie impazzite, le corse, le fughe e l'entusiasmo studentesco mentre gli studenti si dirigono su un camion verso Piazza Tian An Men. Ma soprattutto sa entrare dentro questo amore ossessivo che coincide con la follia, che crea tensione con immagini del vuoto in cui ci sono gli impulsi suicidi (come quello di Li Ti, l'amica di Yu Hong, che si uccide gettandosi da un balcone a Berlino). Il tempo scorre attraverso le note di una canzone in cui passano gli anni ed eventi (come quello di Hong Kong che nel 1997 torna sotto la Cina) e segnano il ritratto di una generazione, pubblico e/o privato. Forse in circa 140 minuti di durata, la pellicola di Lou Ye ha qualche segno di cedimento, soprattutto nella parte in cui Zhou Wei si trova a Berlino e Yu Hong invece vive la sua quotidianità destabilizzata. Il finale però è di una tristezza travolgente. I due protagonisti decidono di rivedersi dopo molti anni. Con il tempo sono diventati distanti. I loro corpi, le loro emozioni. Nel film, sottolineato quasi per intero da una persistente colonna sonora, si apre il silenzio. Poi si sente soltanto il rumore del mare e quello del rumore del traffico. Poi la protagonista guarda l'auto di Zhou Wei che va via. Il tempo ritrovato si trasforma nel tempo perduto.