CANNES 60 – "Boarding Gate", di Olivier Assayas (Fuori concorso)

Assayas filma il passare degli uomini lungo le rotte delle merci e del denaro. Malinconie terminali in cerca di interstizi di vita all'ombra delle multinazionali. Tra droga e falsi, il corpo ancora resiste
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Olivier Assayas continua a praticare un cinema nel quale conta soprattutto il passaggio. Il passaggio dello sguardo sulle cose, gli oggetti e i corpi. In Boarding Gate, la sua ultima fatica presentata fuori concorso, questa sua ossessione diventa ancora più esplicita. Al di là della evidente multiculturalità assayasiana, che in realtà si offre alla stregua di una polistratificazione testurale, l'idea forte di Boarding Gate, costruito come un atto d'amore tutto intorno e sul corpo di Asia Argento, è l'idea che gli uomini e le merci si muovano viaggiando sulle medesime rotte che sono poi quelle del denaro. Questa intuizione, accennata in forme più ellittiche nell'incompreso Demonlover, trova in Boarding Gate una sua esemplificazione noir quasi classica. Il plot, estremamente lineare nonostante la teoria di tradimenti e inganni, è in realtà quasi un saggio sulle nuove forme di territorializzazione prodotte da una sorta di precariato lavorativo insinuatosi all'interno e negli interstizi delle grandi corporazioni multinazionali. Assayas osserva le insenature che la globalizzazionhe economica crea e ne studia le forme di malinconia terminale. Il territorio è segnato dal passaggio del denaro e non si tratta più di un pasaggio monoculare. Laddove Wong Kar- wai fallisce sostanzialmente nel reinventare il suo cinema in territorio statunitense, Assayas riesce a creare una sorta di spazialità assoluta che si offre come immagine di uno spazio forcluso: infinito e chiuso al tempo stesso. Il melò diventa un tassello delle oscillazioni economiche e la morte solo una transazione più drammatica. Il tutto avviene sommerso dalle luci dei segni di un mondo che esiste solo come tracciato di un bilancio o di un estratto conto. Nel mezzo, il movimento di un intrigo che sostanzialmente si riduce a intercettare il passaggio del denaro in un mondo nel quale questo è soprattutto un flusso di dati da decifrare per potersi ricollocare in un mondo che ormai si riduce a interni high tech e a bolite de nuit dove si cala ecstasy al ritmo del cantopop. Assayas corre sì il rischio di aggreggarsi al carrozzone del cinema dei poseur, eppure la sua consapevolezza etica impedisce a Boarding Gate di assecondare le tentazioni pubblicitarie che inevitabilmente un progetto di questo tipo contiene. Assayas, invece, rendendosi conto della No Man's Land che evoca, si serra sui personaggi e li bracca, li stringe e li segue. Interagisce con loro attraverso la macchina  da presa e li osserva vivere e respiare, morire e risorgere per un'imprevista iniezione di denaro. Rispetto al noir classico, in Boarding Gate non ci sono colpe né hybris. Il neoliberismo ha depredato persino il noir delle catene della colpa. Ciò che resta è questo smarrimento di corpi alla deriva cui solo il denaro offre un senso, una presenza e un movimento. In questo senso Boarding Gate potrebbe essere il film che compiutamente ricolloca la tradizione noir in un universo che in realtà non la contempla più in quanto "improduttiva". Assayas dunque pur spostando ancora una volta le coordinate del suo cinema, tentando incessantemente di sfuggire all'incasellamento critico e festivaliero, si rimette in gioco offrendoci un film che seppure sembra essere lontano dalla sua voce più autentica, in realtà ne rappresenta una formulazione molto interessante e politica che sarebbe senz'altro errato sottovalutare come una mera scelta di opportunismo estetico.

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