CANNES 60 – "Mister Lonely", di Harmony Korine (Un certain regard)
Il cineasta statunitense si spinge ancora nella direzione di un cinema eccessivo, stralunato, dove sono presenti anche delle belle intuizioni. Il suo sguardo manipolatore, da burattinaio, però distrugge tutto e la sua opera finisce per travestirsi da qualcos'altro perché, in realtà, è povera di idee
Dopo i provocatori Gummo e Julien Donkey-Boy – ultimo lungometraggio di Korine realizzato nel 1999 – con Mister Lonely l'opera del cineasta statunitense sembra essersi spostata in chiave di allucinazione comica. I personaggi di quest'ultima pellicola sono come una compagnia reclusa, che vive nel proprio universo isolato ed esplicita la propria identità attraverso dei sosia famosi. Tra questi c'è Mister Lonely (Diego Luna) che cerca di sopravvivere esibendosi con il volto rassomigliante a quello di Michael Jackson. Un giorno, durante uno spettacolo, resta colpito dal fascino della falsa Marilyn Monroe (Samantha Morton) e se ne innamora perdutamente. Lei gli propone di andare a vivere appunto con il suo gruppo delle Highland scozzesi assieme al marito Charlie Chaplin (Denis Lavant) e ad altre figure come il Papa (James Fox) , James Dean (Joseph Morgan),
Korine, che ha anche scritto il film assieme ad Avi Korine – si spinge ancora nella direzione di un cinema eccessivo, stralunato, dove sono presenti anche delle belle intuizioni che però vengono quasi sempre dissolte da uno sguardo così manipolatore che finisce per distruggere tutto. Forse la parte migliore di Mister Lonely si esplicita quando l'allucinazione è totalmente senza senso (lo spettacolo di Michael Jackson nell'ospizio, il finale in cui i volti dei sosia sono dipinti su delle uova e poi si animano progressivamente). L'assurdo del cinema di Korine si esplicita come frammenti momentanei e si ha il sospetto che la pellicola vuol dare l'impressione di essere più fuori di testa di quello che in realtà è. Un film sulle maschere, sul burattinaio (Korine?) che le muove. Ma la gioia è solo simulata e i riferimenti tra spettacolo e vita vera (l'impiccagione della fina Marilyn come riproduzione del suicidio di quella vera) denotano tutti i limiti cervellotici di un cinema che si traveste da qualcos'altro proprio perché povero di idee.