CANNES 61 – "La vie moderne", di Raymond Depardon (Un certain regard)
La cosa più sorprendente del cinema di Raymond Depardon è il suo sguardo, semplice e saggio ugualmente puro nel voler filmare piccole storie di piccola gente che, però, hanno a che fare con il tempo. In La vie moderne c’è tutto questo. C’è la curiosità sottile e pacifica, c’è il senso dell’attesa, c’è la complicità dello sguardo nelle vite dei suoi “personaggi”
La cosa più sorprendente del cinema di Raymond Depardon è il suo sguardo, semplice e saggio ugualmente puro nel voler filmare piccole storie di piccola gente che, però, hanno a che fare con il tempo. In La vie moderne c’è tutto questo. C’è la curiosità sottile e pacifica, c’è il senso dell’attesa, c’è la complicità dello sguardo nelle vite dei suoi “personaggi”. Depardon è maestro nel trascinarci dentro il film, quasi dentro l’inquadratura, e lo fa portandoci ad assaporare il vento della montagna in inverno, il suono dell’autunno, il lento movimento delle cose nella campagna sempre più disabitata. I suoi personaggi sono compagni di viaggio di un tempo che appare sospeso ma che, invece, si muove e cambia. Lo sa bene il regista francese che ha trascorso la sua infanzia in campagna, che ha viaggiato nel mondo per i suoi film e che ora ritorna in certi luoghi per riscoprirli e riviverli. “Ero orgoglioso di essere nato in una fattoria ma non potevo sopportare l’idea di farne un film. Ho dovuto fare un grande percorso, una sorta di giro del mondo, prima di osare filmare i contadini” afferma Depardon che si dedica a questo film come ad un lavoro in divenire, dove proprio il tempo gioca un ruolo determinante. Non è solo il confronto tra il passato e il presente, ma l’idea stessa di cercare le tracce sottili del passato nei segni dell’oggi, o, ancora, scoprire che di quello che è stato non è rimasta memoria. Filma una materia fragile e deteriorabile Depardon in La vie moderne, filma i volti di uomini e donne che lavorano e aspettano, che si mettono davanti alla macchina da presa con l’espressione aperta di chi sa portare con sincerità la sorpresa sulla faccia. Due vecchi ingrigiti dalla solitudine, la sorpresa di una colazione improvvisata con naturalezza davanti all’obiettivo, gli sguardi impertinenti dello la camera, le risposte inattese alle domande del regista. A tutto questo si arriva attraverso una strada nota, che, però, sa essere ogni volta nuova e ogni volta diversa. Un breve tragitto quasi in cima alla collina, per lasciare spazio al paesaggio che si va a incontrare all’inizio, e che ci congeda, nel silenzio, alla fine. Emerge la voce, come un saluto, e la musica di Fauré, ripetitiva e rassicurante.