CANNES 61 – "Touki Bouki", di Djibril Diop Mambety (Cannes Classics)

touki boukiCapolavoro del cinema africano realizzato nel 1973 dal senegalese Djibril Diop Mambety, poeta per immagini di sensuale, graffiante, sovversiva decostruzione diegetica. Capolavoro jazz senza tempo, primo lungometraggio di una filmografia troppo presto interrotta dalla morte del regista (nel 1998, a 53 anni) e abitata da poche, indimenticabili opere ancora oggi di pura avanguardia, e non solo per il cinema delle Afriche

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touki boukiTouki Bouki è il capolavoro del cinema africano. Lo realizzò nel 1973 il senegalese Djibril Diop Mambety, poeta per immagini di sensuale, graffiante, sovversiva decostruzione diegetica. Capolavoro jazz senza tempo, primo lungometraggio di una filmografia troppo presto interrotta dalla morte del regista (nel 1998, a 53 anni) e abitata da poche, indimenticabili opere ancora oggi di pura avanguardia, e non solo per il cinema delle Afriche. Ora, uno di quei testi fondamentali, Touki Bouki (sottotitolo, Il viaggio della iena) è stato restaurato dalla World Cinema Foundation di Martin Scorsese e presentato in uno degli eventi della sezione Cannes Classics.

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Dakar, come in ogni lavoro di Djibril Diop Mambety (salvo Parlons grand-mère, che raccontava con sguardo intimo e trasversale la lavorazione di Yaaba di Idrissa Ouedraogo), è il set esplorato, dentro il quale si muovono, nell’impossibile movimento della fuga, i due protagonisti, il pastore Mory (Magaye Niang), che guida una motocicletta su cui ha montato il teschio di una mucca, e la studentessa Anta (Mareme Niang). Si incontrano a Dakar e, alienati e delusi da quel luogo, decidono di partire. Negli occhi, nelle parole di una canzone, nel cuore hanno Parigi. E fanno di tutto per riuscire a imbarcarsi sulla nave che li potrebbe portare lontano.

Come nei precedenti mediometraggi Contras City e Badou Boy e nei successivi Hyenes, Le franc e La petite vendeuse de Soleil (questi ultimi due concepiti per essere parte di una trilogia sulla “piccola gente di Dakar”, rimasta incompiuta per la scomparsa di Diop Mambety), il regista senegalese elabora una complessa partitura visiva e sonora, disintegra le coordinate dello spazio e del tempo in cui si dibattono i personaggi (nel ruolo della zia Oumy c’è la celebre cantante Aminata Fall, che per Diop Mambety reciterà anche in Le franc e La petite vendeuse de Soleil), li fa cadere e rialzarsi, vivere morire e rivivere, quei corpi, crea una segnaletica poetico-politica entusiasmante e ancor più sovversiva nel suo lacerante umorismo. Un film immenso che da Cannes ricomincia una nuova vita.

 

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