CANNES 62 – "Los viajes del viento", di Ciro Guerra (Un certain regard)

In quello stesso continente prezioso, meravigliosamente nascosto e della sostanza dei sogni delle Tre sepolture, una promessa si staglia come una linea di direzione da seguire. Respiri e aperture e sguardi dentro la cultura privata e dispersa, con occhi coperti di stupore e conoscenza atavica

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con uno scettro posticcio 
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici 
e di figli 
con improbabili nomi di cantanti di tango 
in un vasto programma 
di eternità
(Fabrizio De Andrè/Ivano Fossati)

Il cielo e' carico. Il vento li accompagna. Sono gli occhi di un bambino quelli di Ciro Guerra, regista colombiano classe 1981 che con il suo primo lungometraggio (La sombra del caminante) ha vinto nel 2003 il Films in Progress Award al San Sebastián International Film Festival. Gli occhi di quel bambino ostinato e incosciente, spalancati e sempre nuovi, che accompagnano la traversata del protagonista Ignacio per le terre e le montagne del suo paese. Ignacio e' una sorta di trovador, uno di quegli uomini che gira di festa in festa e di duello in duello suonando una fisarmonica. Non c'e' pace per chi trova sollievo solo nel suono itinerante, non c'e' sosta per chi ha addosso la maledizione del divertissement collettivo, incarnata in Los viajes del viento da uno strumento dotato di diaboliche corna. Questa e' la vita di Ignacio. Finche' sua moglie muore e allora, nonostante i figli sparsi e mai conosciuti, la vita si perde in una tristezza senza nome e resta solo il silenzio di una promessa. Che si stende come una linea di direzione da un capo all'altro del paese. Quella e' la linea da seguire, per riconsegnare al proprio maestro la fisarmonica e trovare, finalmente, forse, un'altra pace. Il demone personale di Ignacio – la musica che ha giurato di non suonare piu' – si dipana e sale, malgrado ogni dolore, sotto gli occhi coperti insieme di stupore per il mondo e conoscenza atavica di Fermin, che segue Ignacio senza conoscerlo, attratto dal mistero della terra e della

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musica. Un viaggio che per l'intensita' di quella promessa (che cresce impercettibilmente per traboccare nel finale) e per l'equilibrio narrativo (che alterna i respiri e le aperture dei campi lunghi agli sguardi dentro la cultura nascosta, quasi privata o dispersa sugli altopiani) manda il pensiero alle Tre sepolture di Tommy Lee Jones/Guillermo Arriaga. In quello stesso continente prezioso, meravigliosamente nascosto e della sostanza dei sogni, Ignacio e Fermin attraversano spazi immensamente vuoti, picchi abitati da un essere umano solo, unico eppure fratello di sangue, cerchi di duelli di fisarmonica in cui si scontrano la magia nera e la verita', battesimi col sangue di lucertola sotto alberi sconosciuti e ponti da cui si cade morti sotto i colpi di un machete e gli sguardi abituati e concentrati del villaggio. Come racconta Pino Cacucci, la vita da quelle parti vale cosi' poco. Ma non finche' il cielo e' carico, e il vento li accompagna.

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