CANNES 62 – "Per me l'immagine è tutto". Incontro con Tsai Ming-liang

tsai ming-liang

Incontriamo il regista, malese di nascita ma taiwanese d'adozione, pochi minuti dopo la fine della proiezione del suo ultimo film, Visage. Le immagini e i ricordi di questa sua ultima opera faticano ancora a sedimentarsi, vista le molteplici sfaccettature della stessa, quando Tsai Ming-liang entra sorridente all'incontro con la stampa

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tsai ming-liangDa dove è nata l'idea di un film finanziato e prodotto dal Louvre e quali sono i problemi di un cinema di questo tipo,  diciamo “istituzionale”?
Innanzitutto fatemi dire che la situazione che sto vivendo in questo momento è quantomai bizzarra: non parlando francese non sto capendo praticamente nulla di quello che è stato detto! Comunque, la cosa è stata piuttosto semplice: sono stato chiamato dal Direttore del Museo de Louvre, il Signor Loyrette che è qui vicino a me, il quale aveva pensato a me per realizzare un film che parlasse del suo museo. Ci siamo incontrati e abbiamo subito trovato un accordo. È stata un'esperienza assolutamente fantastica, anche perché ho avuto una libertà totale, l'unica cosa che mi ha chiesto il Direttore era di far entrare in qualche modo il museo dentro al film. E poi mi ha detto un'altra cosa mentre giravamo: mi ha detto di sbrigarmi a ultimare le riprese perché c'erano state le elezioni politiche in Francia ed era cambiato il governo! [al che, il Direttore del Louvre, ha arrossito piuttosto imbarazzato ma poi tutti sono scoppiati in una fragorosa risata]. Scherzi a parte, ho ricevuto un enorme sostegno dal Museo e da tutte le istituzioni e io ho cercato di mettere tutto me stesso per riuscire ad “entrare” nel museo. Ho guardato e riguardato tutti i quadri del Louvre per ispirarmi e in particolare sono stato molto colpito dal dipinto di Leonardo da Vinci “San Giovanni Battista”, che infatti ho provato a ricreare nella mia opera. 
 
Ancora una volta l'acqua è presente in un tuo film…
Bé si, l'acqua è assolutamente meravigliosa ed è importante, se non centrale, in tutti i miei film. Per me è fondamentale soprattutto da un punto di vista visivo, perché con le sue increspature può produrre degli effetti straordinari e imprevisti, eppure quando è calma e liscia è come uno specchio e riflette ogni cosa che si trova davanti. 
 
Infatti il suo modo di dirigere riflette molto questa imperscrutabilità dell'immagine…
Certo, io dirigo i film come un pittore: per me l'immagine è tutto! 
 
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visageE la luce? Il personaggio interpretato da Laetitia Casta sembra averne paura, arriva persino a mettere lo scotch su una finestra per non far entrarla più…
Il personaggio interpretato dalla Casta è ispirato ad un'attrice taiwanese che aveva una singolare nevrosi, temeva tutto ciò che era luminoso, aveva una paura folle della luce, finendo col rinchiudersi praticamente dentro l'oscurità più assoluta.   
 
Parliamo di attori, dunque. Come è stato lavorare con Jean-Pierre Leaud e con Fanny Ardant?
Io avevo un sogno. Fare quello che non era riuscito a realizzare Francoise Truffaut, mettere nello stesso film Fanny Ardant e Jean-Pierre Leaud, e poi riuscire a fonderli con i miei attori, quelli con cui lavoro abitualmente, ovvero Lee Kang-sheng e Lu Yi-ching. Mi sembrava che noi tutti appartenessimo da sempre alla stessa famiglia e che per fare questo film ci fossimo finalmente riuniti. È una cosa stupefacente che tutto ciò si sia effettivamente realizzato!
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