CANNES 62 – "The Imaginarium of Doctor Parnassus", di Terry Gilliam (Fuori concorso)
Un libro sacro. Un film (cos’altro?) in cui Gilliam rivela il mistero del suo cinema, attraverso l’incontenibile proliferazione del mito, quel moto orizzontale e verticale che è vita e fede. Racconto che affonda le sue radici nei mille immaginari possibili, correndo sempre il rischio di smarrire le coordinate, ma che ritrova ogni volta l’essenza autentica di un cinema smarginato
Il sistema di Terry Gilliam
Da dove vengono le storie? Nascono dal desiderio di ricreare il mondo, ridisegnandone ogni volta le coordinate. Le storie tramandano la memoria delle avventure passate e anticipano le direzioni a venire. Ognuna di esse racchiude una piccola parte di un oscuro mistero, custodendo gelosamente nelle proprie viscere i semi, quei segni che compongono il codice segreto con cui decifrare e ridar senso alla realtà. Sono le storie di ognuno di noi a tener in piedi il mondo, a reggerne la struttura altrimenti precaria e a modulare l’armonica geometria delle variabili. Sono sostanza e movimento.
The Imaginarium of Doctor Parnassus sembra un libro sacro. Un film (cos’altro?) in cui Gilliam rivela il mistero del suo cinema, attraverso l’incontenibile proliferazione del mito, quel moto orizzontale e verticale che è vita e fede. Racconto che affonda le sue radici nei mille immaginari possibili: i suoi, quelli dei personaggi, i nostri, ancora ciechi e muti, gelosamente celati nelle zone oscure del cuore. Terre selvagge dai confini sfumati, brulicanti di paure e passioni che mutano forma e volto, in cui si oppongono, nella loro forza vergine, la luce e il buio, il bene e il male che agitano la nostra anima profonda. Il luogo dello scontro tra la vita e la morte, un mondo a due facce, in cui, prima ancora che nella realtà, siamo posti di fronte al bivio e chiamati a scegliere la strada, perderci o ritrovarci. Gilliam intona il suo mantra estremo e invoca, definitivamente, l’essenza più autentica del suo cinema smarginato, proiettato oltre i limiti del possibile e del pensabile, verso quella dimensione in cui tutto si compie, irrinunciabile nonostante la colonizzazione forzata di una realtà, che sembra non avvertire più l’urgenza della magia e del sogno. Certo si tratta un cinema che corre sempre il rischio di smarrire le coordinate e non tener il passo di una fantasia debordante, nei ritmi o nella stessa materialità della creazione. Anche The Imaginarium of Doctor Parnassus vive i momenti di calo e mostra sul suo corpo i segni di una lavorazione ancora una volta tormentata. Ma Gilliam si affida col cuore al folle miracolo del suo sguardo ‘inesistente’ e, ritrovato lo slancio dopo la tragedia di Heath Ledger (morto durante le riprese), fa risorgere il film dalle sue ceneri. Chiama Johnny Depp, Jude Law, Colin Farrel: tre volti per uno stesso personaggio, tre dei cento, mille modi che ogni uomo ha di vedersi e immaginarsi, sentire le cose e vivere la propria esistenza. Lotta contro la tentazione della voce sublime e disumana di Tom Waits, un diavolo suadente, che chiama alla morte, a quell’inferno che è un buco nero dell’immaginario, in cui viene risucchiata ogni storia, con il suo carico di promesse e speranze. E innalza sino al cielo il suo peana per Ledger, corpo fantasma che lotta, come il film intero, contro il demonio. Due storie, una vera e una finta, che s’interrompono troppo prima della fine. Gilliam, comunque, intona il suo canto: un film non ha potere contro la morte, ma può, forse, salvare dall’inferno.