CANNES 63 – "Poetry", di Lee Chang-dong (Concorso)

poetry

A Lee Chang-dong non interessa lo sviluppo drammaturgico di tutte le premesse che pone.  Non occorre, qui, accendere i toni del dramma (quelli che facevano vibrare Oasis e Secret Sunshine). Qui ogni evento è un incidente senza scosse. E’ semplicemente un fatto che rende possibile il finale, quell’unico atto di creazione, decisiva frattura tra un prima e un dopo, tra un passato di colpevole cecità e un futuro di oblio che custodisce i fondamenti della verità

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poetryCome è possibile scrivere poesie? Dov’è l’ispirazione? Fuori o dentro? Che la bellezza sia tutt’intorno a me. Verso il sole
Mija (Yun Jung-hee, che si candida alpremio come migliore attrice) è anziana donna che vive in una piccola città di provincia. Si occupa del nipote adolescente e si guadagna da vivere come donna di servizio. E’ gentile con tutti e un po’ svitata, con la testa fra le nuvole. Il suo sogno segreto è scrivere poesie. Per questo s’iscrive a un corso. E la prima cosa che le suggeriscono è di guardare le cose in “un modo nuovo”. Nonostante gli sforzi, però, Mija non riesce. Anche perché ha improvvisi e strani vuoti di memoria, che non le permettono di focalizzare le parole. Ma i suoi problemi non finiscono qui. Perché scopre che il nipote è coinvolto, insieme ad altri compagni, in un caso di violenza sessuale. Occorre trovare un compromesso con la famiglia della vittima. Servono soldi. Ma come trovarli?
Perdere la memoria, forse, è la possibilità di guardare le cose in modo davvero nuovo. E’ la premessa di una ritrovata verginità. Occorre scrollarsi dagli occhi la polvere di anni, liberarsi di quell’abitudine a una sola prospettiva, che non permette di cogliere la ‘quarta dimensione’ del mondo. Una mela è una mela, da qualunque parte la si guardi. Eppure, se non avessimo più consapevolezza di cosa sia una mela, come potremmo descriverla? Come potremmo arrivare a chiamarla? Dovremmo sforzarci di stabilire un paragone con qualcos’altro. Il che è già un modo di tracciare un percorso, di istituire una relazione di senso aldilà dell’accecante evidenza delle cose. Non è certo un paradosso che Mija, pur non avendo più piena padronanza delle parole e del linguaggio, sia l’unica a comporre una poesia, alla fine del corso. Perchè la poesia, cioè l’atto di creazione, è possibile solo a partire da una mancanza, dall’esigenza pressante di porre rimedio a una perdita. La donna domanda continuamente come trovare l’ispirazione per scrivere versi, fino a scoprire che la risposta riposa già nella sua malattia. Per lei è una questione di ‘vita o di morte’. Scrivere diventa l’unico modo di rimanere in contatto con le cose, attraverso il legame di un sentimento che ridisegna le traiettorie dello sguardo. Lee Chang-dong non può interessarsi allo sviluppo drammaturgico di tutte le premesse che pone. E non deve meravigliare che la scoperta dell’Alzhaimer sia gettata un po’ lì, sembra conseguenze apparenti. E’ solo una frammento che serve a intuire il percorso emotivo che porta Mija a scrivere quei magnifici versi finali. Non occorre, qui, accendere i toni del dramma (quelli che, fondamentalmente, facevano vibrare Oasis e Secret Sunshine). Qui ogni evento è un incidente senza scosse. Miya continua a giocare a badminton con il poliziotto, nonostante tutto. Qui ogni evento è semplicemente un fatto che rende possibile il finale, quell’unico atto di creazione, decisiva frattura tra un prima e un dopo, tra un passato di colpevole cecità (l’accondiscendenza nei confronti del nipote) e un futuro di oblio che custodisce i fondamenti della verità. Lee Chang-dong non sviluppa e non esplode, perché si pone in ascolto, con rispettoso silenzioso, di chi sale sul palco e legge la sua poesia. Partecipa, ma non ha l’esigenza di darlo a vedere. Osserva e descrive il mondo ‘fuori dal mondo’ di una donna, rassegnata alla vecchiaia e alla solitudine, ma non ancora al vuoto. Una terra di nessuno, come quella degli innamorati di Oasis. Sospesa in una specie di follia sognante e incosciente. Eppure, di fronte alla minaccia del reale, è proprio Mija a comprendere il senso morale di un’azione. In un mondo piegato all’utile, mostra la pietà e cerca la bellezza. Ruba la foto della giovane vittima. Va sul fiume, ‘luogo della tragedia’, lavando le sue colpe di nonna nella pioggia. E, infine, arriva all’unica scelta possibile. Dire le cose per quello che sono. Separare il falso dal vero, il giusto dall’ingiusto.
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