CANNES 64 – “Melancholia”, di Lars Von Trier (Concorso)
Von Trier rinuncia per questo suo ultimo film a quasi tutti gli estremismi narrativi e formali che spesso fanno parte del suo bagaglio di cineasta. Il problema é che così mette irrimediabilmente a nudo tutta la mediocrità del suo apparato teorico, e la sconfortante velleità delle sue profezie, cannonate di avvertimento sparate a salve, inesorabilmente innocue. Kiefer Sutherland non é il primo a crepare all`interno di questa ennesima, spocchiosa e ben poco affasciante allegoria firmata dal cineasta danese: é l`unico a sopravvivere
Il vero satellite estraneo che attraversa indenne il film di Von Trier é uno di quei miracoli di resistenza e persistenza che riescono soltanto ad Hollywood: Kiefer Suterland viaggia ad un`altra frequenza di cinema, a un`altra altezza, a un`altra distanza – per questo é il solo che riesca a interpretare e riconoscere la traiettoria del pianeta alieno. Non é il primo a crepare all`interno di questa ennesima, spocchiosa e ben poco affasciante allegoria firmata dal cineasta danese: é l`unico a sopravvivere.
Una volta resosi conto dell`impossibilità di salvare la situazione, Sutherland sparisce, e lascia gli altri personaggi alla meschina sorte che aspetta loro: come il suo Jack Bauer televisivo, Sutherland sembrava già un infiltrato per tutta la prima parte di Melancholia, dedicata a questo patetico ricevimento di matrimonio in castello organizzato da Charlotte Gainsbourg per la sposa sorella Kirsten Dunst: il modo secco e ben poco elegante di esprimersi con la sua voce profonda e bofonchiata, ma soprattutto il disprezzo e l`irritato fastidio che il suo personaggio e il suo volto esprimono per gli invitati e la situazione intera paiono davvero sottintendere una poca tolleranza per il set in cui Von Trier lo ha precipitato – a dare retta ad una di quelle sue occhiate assassine, uno può ben immaginare che il satellite-Kiefer avrebbe immensa gioia a spazzare via da questa Terra la moglie, il figlio, e la cognata (quella che poi sembra essere nel finale l`intenzione del pianeta Melancholia in collisione con il prato e la tenda magica eretta dal terzetto).
É in effetti particolarmente snervante il male di vivere di Justine/Kirsten Dunst, che passa dal farci rimpiangere nella prima metà dell`opera un Roger Corman invitato anche a questo matrimonio a fare un paio di riprese con la videocamera in modo da ricordarci che il Cinema non ci perde mai (semmai é vero il contrario…) ma ci salva sempre (anche sull`hard disk di un pc di montaggio), allo scrollarsi dal torpore e dall`inconsolabile disperazione che ne hanno mandato all`aria la festa di nozze per assumere la serafica determinazione di una Cassandra inamovibile nel secondo frammento.
E se Kirsten non soccombe schiacciata dal peso della mortifera visione dell`autore, nemmeno risplende come sotto Sam Raimi o Sofia Coppola: la sequenza che la vede nuda su di un masso sotto la luce notturna del pianeta in avvicinamento non ha alcun fascino o saudente leggerezza, ma risulta zavorrata, come in quasi la totalità delle sequenze in cui Von Trier si serve del corpo dell`attrice, dalla multistratificazione dei riferimenti pittorici chiamati in causa e poi lasciati appesi, incorniciati allo schermo.
In realtà, Von Trier rinuncia per questo suo ultimo film a quasi tutti gli estremismi narrativi e formali che spesso fanno parte del suo bagaglio di cineasta. Il problema é che così mette irrimediabilmente a nudo tutta la mediocrità del suo apparato teorico, e la sconfortante velleità delle sue profezie, cannonate di avvertimento sparate a salve, inesorabilmente innocue.
Di cosa parla il film? Potreste fornire una trama spiegata meglio? E' un sito divulgativo o per addetti ai lavori?
@anonimo, alla nostra destra, nella sezione "articoli correlati", trova i link a tutto il materiale che ha a che fare con l'informazione "divulgativa", pubblicato pian piano nell'attesa che cannes iniziasse: sinossi, foto, trailer, dichiarazioni del regista e degli attori e un approfondimento sulle suggestioni pittoriche utilizzate dal direttore della fotografia. Qui invece, come è giusto che sia, trova il pensiero e l'emozione successive alla visione del film.
ci sta la guida al sito, da qualche parte. oppure guardati la tv che ti fa bene. Ma da dove spuntano tutti questi anonimi che non sanno leggere sentieri selvaggi? Fategli fare un'esame d'ammissione come lettori, ah ah ah !
…solo per citare un vecchio articolo di Segno Cinema dedicato al cinema di Lars Von Trier significativamente e splendidamente intitolato "Non esiste altro Lars all'infuori di me"…
grazie
Il manierismo post-moderno del danese, il suo straordinario senso dell'immagine filmica, manipolata nella sospensione del freeze frame di quello che è un capolavoro nel capolavoro:il proemio, il conflitto cromatico e di inquadratura che scuote lo spettatore e ne attiva il senso ermeneutico, dimostrano che esiste ancora un linguaggio cinematografico capace di inventare il futuro. Come Lynch, come Sokurov, Lars Von Trier non fa regia,, fa letteratura post-moderna, scrive per immagini.. Se non avesse fatto il regista, non avrebbe intrapreso la carriera dello scrittore, ma sarebbe stato uno straordinario bibliotecario. Un erudito mai fine a sé stesso, anche quando cita smodatamente, e Melancholia è una vera cornucopia del ri-uso: dal marchese a Tarkovskij, da Kubrick a Brueghel, all'Ofelia di Millais, al wagnerismo sepolcrale del Tristano e Isotta.
Insomma, sarebbe il caso che il signor Sozzo prenda in considerazione un uso diverso delle mani. Spaccare legna non è affatto disdicev …