CANNES 64 – "Pirates of the Caribbean: on Stranger Tides", di Rob Marshall (Fuori concorso)

pirati dei caraibi
Stavolta l’avventura è senza sorprese, il ‘nuovo Bounty’ ha smarrito Depp quasi reincarnazione di Clark Gable, canaglia romantica che qui gioca di sottrazione solo con i residui dei precedenti episodi e anche il regno oscuro è poco buio. La messinscena macchinosa del regista di Chicago incrocia l'armatura pesante di Bruckheimer. Nella sua  rigidità, restano soprattutto gli assordanti rumori  

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Squadra che vince non si tocca. Invece Bruckheimer con questo quarto episodio della serie ha voluto e/o dovuto cambiare le carte in tavola. Rispetto ai tre precedenti  episodi, inaugurati da La maledizione della prima luna del 2003, non ci sono più Keira Knightley, Orlando Bloom e il regista Gore Verbinski sostituito da Rob Marshall che ha diretto i due musical Chicago e Nine. New entry invece per Penélope Cruz nei panni di Angelica, ‘donna del passato’ del capitano Jack Sparrow. Lei lo costringe a salire a bordo del Queen Anne’s Revenge, la nave del terribile pirata Barbanera (interpretato da Ian McShane). Sparrow si trova così coinvolto in un’avventura piena di imprevisti  e non sa se la donna lo ama davvero o lo sta usando per trovare la leggendaria Fontana dell’Eterna Giovinezza. Lo sguardo di Marshall mostra il suo disagio con le forme dell’avventura-fantasy. Non si tratta di dare autonomia a una saga che potrebbe alimentarsi anche autonomamente; Indiana Jones è certamente inarrivabile ma Fast & Furious mostra come ogni volta si possa mettere nuova energia in sequel che potrebbero essere anche autonomi. Il cineasta invece si affida a giochetti coreografici (il furto dell’orecchino, la danza delle spade) che sembrano scopiazzare le traiettorie del wuxia senza però possederne la leggerezza. Depp gioca di sottrazione e lascia sullo schermo quasi i residui di Sparrow, nelle espressioni, nelle incarnazioni da commedia anni ’40 dove la Cruz dovrebbe essere la complice. Marshall non sa però gestire l’affiatamento tra i due protagonisti che hanno già lavorato insieme in Blow di Ted Demme, e disperde anche quell’ambiguità tutta giocata sul punto limite tra recitare un ruolo ed essere sinceri che a tratti sembra provenire dalla saga 007. Stavolta l’avventura è senza sorprese, il ‘nuovo Bounty’ ha smarrito Depp quasi reincarnazione di Clark Gable, canaglia romantica, presente davvero solo in un paio di momenti in cui vola come Douglas Fairbanks in una tavola imbandita o prepara la fuga da Londra. E anche il regno oscuro è poco buio, gli alberi della foresta nascondono solo prevedibili insidie, il fuori-campo entra in gioco appena con l’apparizione delle sirene assassine. Il 3D di Pirates of the Caribbean: on Stranger Tides (che esce in Italia il 18 maggio col titolo Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mare) resta in profondità o ci oltrepassa appena, senza però mai raggiungere uno sguardo che si trova sempre in posizione decentrata. Del resto il cinema di Marshall esibisce sempre la sua messinscena macchinosa e stavolta i personaggi non oltrepassano ambienti e colori come in Memorie di una geisha. In più c’è l’armatura pesante di Bruckheimer, con i segni di un cinema fine anni ’80 inizio ’90 ormai superato dall’agilità produttiva di un Michael Bay. In questo resta solo il rumore che sottolinea una rigidità dei movimenti presenti in (quasi) tutto il viaggio in mare.

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