CANNES 65 – Incontro con Matteo Garrone


Il regista romano, al suo sesto lungometraggio, torna in Concorso a Cannes, dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria nel 2008 con Gomorra. Considerato ormai all’estero il nuovo esponente del neorealismo italiano, Matteo Garrone gira una tragicommedia, ambientata tra Napoli e Roma, prendendo come spunto narrativo il Grande Fratello e un uomo dei quartieri popolari, ossessionato dalla voglia di partecipare alla nuova edizione del fortunato format televisivo. In conferenza stampa era presente buona parte del cast, costituito da caratteristi napoletani

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Il regista romano, al suo sesto lungometraggio, torna in Concorso a Cannes, dopo aver vinto il Gran Premio della Giuria nel 2008 con Gomorra. Considerato ormai all’estero il nuovo esponente del neorealismo italiano, Matteo Garrone gira una tragicommedia, ambientata tra Napoli e Roma, prendendo come spunto narrativo il Grande Fratello e un uomo dei quartieri popolari, ossessionato dalla voglia di partecipare alla nuova edizione del fortunato format televisivo. In conferenza stampa era presente buona parte del cast, costituito da caratteristi napoletani, gli sceneggiatori Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Maurizio Braucci, l’autore delle musiche, il francese Alexandre Desplat e il produttore Domenico Procacci.

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Perché la scelta di girare questa storia?
Dopo Gomorra, volevo fare un film diverso, cambiare registro. Ho cercato per anni una storia altrettanto forte, ma non l’ho trovata. Per questo motivo che ho deciso di fare una commedia, che si mescola con la tragedia. Reality è nato da una storia vera, semplice, che abbiamo adattato per riflettere sul nostro presente, sul mondo contemporaneo ed anche per viaggiare attraversando il Paese.
 
Qual è stato l’itinerario immaginario che ha voluto seguire?
Ci sono almeno due viaggi che s’intrecciano: quello esteriore, geografico, tra Napoli e Roma, e un secondo interiore,  psicologico. Sono entrambi fortemente uniti e danno al personaggio principale il taglio che avevo prefigurato. Il film è sulla percezione del reale e sull’abbandono della realtà di un uomo che non ha più la forza di tornare indietro. Ho impostato quindi il mio lavoro ricercando una forma di realismo magico.
 
Ci può parlare del personaggio principale e della scelta di Napoli come set ideale per il suo film?
Ho sempre pensato a Luciano, il mio personaggio principale, come ad un Pinocchio dei tempi moderni, alla sua innocenza e al candore infantile. Luciano mi piacerebbe immaginarlo tra Totò e De Niro che si spinge verso la follia. Per quanto riguarda la scelta della città di Napoli, come set ideale, credo che questa città sia unica per le contraddizioni interne che la contraddistinguono. Napoli si fonda sulla tradizione, ma è avvolta e fagocita a volte dalla modernità. Ecco perché ho scelto come attori tutti cabarettisti del luogo, in modo che potessero incarnare in qualche modo il passato. In più, ho voluto mescolare luoghi tipici e non luoghi, come i supermercati, che dessero il senso di artificioso al film. Tutto è ricostruito però, anche la piazza in cui si svolge buona parte del film, ma ho sempre tenuto in forte considerazione l’aspetto verosimigliante, per non perdere quella dimensione sospesa tra fantastico e reale.
 
In questa sua ultima opera sembra molto evidente l’influenza di Fellini… e Pasolini?
 
E’ vero, Fellini è molto presente in questo film. Più che da Ginger e Fred, come molti hanno fatto notare, direi invece che sono stato influenzato dal primo Fellini, diciamo quello di Lo sceicco bianco. Conosco ben il pensiero di Pasolini, ma in realtà questa volta non c’entra molto, anche perché, ripeto, è stata mia intenzione raccontare una storia semplice.
 
Può dirci qualcosa su tutta la simbologia religiosa presente nell’opera?
Sinceramente su questo punto non me la sento di rilasciare particolari spiegazioni.
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