CANNES 65 – “Le repenti”, di Merzak Allouache (Quinzaine des réalisateurs)

le repenti

Allouache dirige con molta intensità; la trova là dove la situazione ne prevedrebbe troppa (l'impossibile superamento del trauma della morte violenta della propria figlia) o troppo poca (una quotidianità per diverse ragioni “negata” ai protagonisti). La mancanza di compattezza, però, rischia di smarrirla, come pure di mancare il proposito di rendere l'inumana difficoltà della riconciliazione in un Paese lacerato

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le repentiIl “pentito” del titolo è uno dei terroristi islamici a cui l'Algeria concedette una sorta di amnistia (dai confini comunque legalmente torbidi, ci lascia intendere il film) a patto di tagliare tutti i ponti con la precedente vita clandestina nelle montagne e cambiare vita completamente. È ciò che prova a fare il giovanissimo Rachid: tornato al villaggio nativo, è costretto ad emigrare in città (dove prende a lavorare in un bar) perché troppa gente, in paese, vuol regolare violentemente i conti con lui. La sua storia si intreccia con quella di un farmacista volenteroso ma incapace di affrontare la penuria di mezzi con cui ha quotidianamente a che fare. Poco a poco, emergerà che sua figlia è stata rapita e uccisa dai terroristi (cosa che ha portato alla rovina il suo matrimonio): con uno stratagemma, Rachid li conduce alla sua tomba. Non c'è, tuttavia, catarsi possibile: il trauma non viene mai davvero sepolto, e infatti nell'ultimissima immagine rispunta fuori come se fosse ancora lì, davanti agli occhi.

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Allouache. Con i suoi decenni di cinema alle spalle, sa bene come orientare una materia filmica solo all'apparenza grezza. E la orienta verso un'inquietudine permanente, strisciante, impossibile (o comunque assai difficile) da attaccare a elementi o avvenimenti specifici. Più precisamente, le assi portanti del suo progetto sono due. Innanzitutto, cogliere negli attori una specie di ultra-espressività, forzandola molto al di là di quello che le situazioni consentirebbero, in modo da rendere l'idea del loro annaspare in una quotidianità in cui i personaggi non hanno nessun posto, nessuna legittimità, nessun appiglio. E poi, quando il trauma a lungo celato balza allo scoperto, giocare di fino su un'emotività in eccesso rispetto alle possibilità (inesistenti) che il trauma in questione (il rapimento e l'uccisione della bambina) possa essere esorcizzato.

 

Prese in sé, queste due idee avevano un grosso potenziale – che in realtà non viene sprecato, anzi. Ciò che però impedisce a Le repenti di diventare quel grande film che avrebbe potuto essere, è che questi due elementi “rimangono lì”, non si legano l'un l'altro, non trovano una connessione vera. Il che disperde parecchio quella tensione che Allouache è pure abilissimo a costruire in ogni istante del film. E a perdere vigore, in questa maniera, finisce per essere finanche il suo proposito di suggerire l'inumana difficoltà di riconciliare l'irreconciliabile, di suturare le ferite troppo profonde di un Paese lacerato.

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