CANNES 65 – “Les voisins de Dieu”, di Meni Yaesh (Semaine de la Critique)


Meni Yaesh ha scelto almeno due punti di vista interessanti: affrontare il soggetto raccontando la vita sbandata, fra i riti ebraici dello shabbat e le spedizioni punitive, di tre amici auto-proclamatisi sorveglianti di un quartiere di Bat Yam, dunque di personaggi interni a quella comunità; e adottare un modo di filmare rapido, ansioso, energico, un po’ pulp, dove la colonna sonora martellante è parte integrante della frenesia dell’azione

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Opera prima, dopo due cortometraggi, del trentaduenne regista israeliano Meni Yaesh, Les voisins de Dieu ha il pregio, pur con limiti di stile esplicitati proprio da quello che dovrebbe essere il suo elemento più originale, di rappresentare con sguardo distante da un cinema immediatamente riconducibile al dramma realista, che comunque ben contiene, un argomento altre volte descritto in opere della cinematografia d’Israele: la quotidianità, i contrasti, le incomprensioni in un quartiere ortodosso radicale di Tel Aviv.
Città ben diversa dalla conservatrice Gerusalemme, eppure non estranea ai comportamenti violenti in nome del rispetto delle leggi della religione (ma chi li commette, quei gesti contro persone che la pensano e agiscono diversamente, dal modo di vestire alla musica da ascoltare, non ha problemi a bere, fumare, usare la musica che critica trasformando i testi in appelli integralisti).
Meni Yaesh ha scelto almeno due punti di vista interessanti: affrontare il soggetto raccontando la vita sbandata, fra i riti ebraici dello shabbat e le spedizioni punitive, di tre amici auto-proclamatisi sorveglianti di un quartiere di Bat Yam, dunque di personaggi interni a quella comunità; e adottare un modo di filmare rapido, ansioso, energico, un po’ pulp, dove la colonna sonora martellante è parte integrante della frenesia dell’azione.

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E, come nel film di Cristian Mungiu in concorso al festival, Les voisins de Dieu pone a confronto (ma con finale “consolatorio” rispetto a Au-delà des collines, nonostante anche qui a “vincere la partita” sia, pur in maniera meno radicale, la religione come istituzione) due personaggi, che si amano, separati dalle loro convinzioni: Avi, che vive con il padre vedovo e la cui sensibilità non gli impedisce di essere in prima linea nella pratica della violenza (contro ebrei non osservanti o contro gli arabi di Jaffa) e di vedere in Dio l’unico suo interlocutore (si pensi alla scena sulla spiaggia in cui “dialoga” con Lui); e Miri, la ragazza che vive nel suo palazzo, laica e disinibita che infine, per amore e per non perdere l’amato, si avvicina alle pratiche religiose.
Con il suo ritmo agitato e le sue scene d’azione, molto realiste nella loro violenza, Les voisins de Dieu disegna slittamenti continui fra e dentro i personaggi, anche quelli più deprecabili, e non senza ironia, talvolta. La verità non esiste da nessuna parte come “unica”. Esiste, invece e solo, nel vedere nell’altro qualcuno con cui avviare una riflessione, anche se scomoda e non facile.

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