CANNES 66 – “Jeune et Jolie”, di François Ozon (Concorso)


La 17enne Isabelle di questo suo nuovo film potrebbe ben essere il personaggio perfetto per racchiudere tutto il cinema di Francois Ozon in un unico corpo (non a caso quello liscio e snodatamente conturbante di una modella, Marine Vacht): da sola, la ragazza racconta di quella passione per una morbosità messa in scena mantenendo l'apparente ordine delle superfici che è cifra fondante dell'immaginario dell'autore francese

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La 17enne Isabelle potrebbe ben essere il personaggio perfetto per racchiudere tutto il cinema di François Ozon in un unico corpo (non a caso quello liscio e snodatamente conturbante di una modella, Marine Vacht): da sola, la ragazza racconta di quella passione per una morbosità messa in scena mantenendo l'apparente ordine delle superfici che è cifra fondante dell'immaginario dell'autore francese. Il cinema di Ozon è probabilmente tutto un primo pomeriggio nella camera, rovente seppure in penombra, di una adolescente alla scoperta solitaria della propria sessualità sotto le lenzuola: ecco, lo sguardo del regista è forse quel paio di lenzuola. E allora davvero negli occhi di Lea, come la ragazza si fa chiamare sui siti dove offre i propri servizi di prostituta, è riflesso il mondo secondo Ozon, un'esplorazione delle pulsioni umane che non si scompone mai, nemmeno davanti alle richieste meno lecite degli attempati “clienti”, o alle richieste di spiegazioni da parte della sbigottita madre che nulla sospettava dell'attività extracurriculare della figlia.
Isabelle rimane un mistero per lo spettatore di Jeune et Jolie, anche quando lo psicanalista a cui viene affidata costruisce una chiara griglia di riferimenti che rimandano all'infanzia turbolenta della sua famiglia, e a questa figura di padre assente: Ozon racconta ancora una volta di questi corpi neutrali che non fanno che creare sommosse pur limitandosi a distendersi sui letti, sui divani, sulla sabbia…da questo punto di vista è chiaro il parallelo con gli usuali pezzi pop francesi che il cineasta utilizza a corredo delle sezioni in cui è diviso il racconto: i testi incentrati su di una sfacciata seduzione sono fasciati da morbidi arrangiamenti di canonica, orchestrale fruibilità.

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Jeune et Jolie si fa così punto di incrocio di un universo di storie mai raccontate e giusto incrociate dalla protagonista (il flirt estivo col tedesco Felix, quello della madre, ancora la storia di questa famiglia, le vicende dei clienti…), che sembra attraversare indenne e impassibile tutti gli stravolgimenti provocati dalle sue imprese nel campo della prostituzione minorile, sino all'incontro finale con il personaggio di Charlotte Rampling. E' solo in quell'occasione che Isabelle si lascerà andare alle emozioni (il pianto condiviso con la madre poco prima era invece solo l'illusoria speranza di uno scambio umano, smentita subito dopo), rivelando la reale anima del proprio amore con una lacrima.
Ed ecco che, al solito, Ozon si ritrae con il riserbo di uno schermo nero da end credits: quando finalmente ogni impalcatura esteriore salta e la passione può rivelarsi, questo cinema non può che arretrare, allontanarsi, lasciare il campo ad una verità che riesce a raccontare solo attraverso i filtri separatori del proprio stile.

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