CANNES 66 – “La grande bellezza”, di Paolo Sorrentino (Concorso)

la grande bellezza
L’intera concezione della messinscena racconta in maniera lampante di una mancata presa di posizione (intendendo gia’ la posizione perennemente e ostinatamente cangiante e ondivaga della mdp), e di una abissale trasparenza, vera e propria invisibilita’, dei personaggi. Il dramma piu’ tremendo di Sorrentino e' la sua latente mancanza di ambizione, nascosta dalla carta da parati d’oro intarsiata e barocca: un film piccolo piccolo gonfiato fino all’esasperazione come le polifonie vocali della colonna sonora

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la grande bellezzaCosa credi che il tuo film non sia una commedia all’italiana?
E’ una commedia all’italiana, di oggi, nei modi tuoi, per la tua generazione,
ma resta esattamente una commedia all’italiana.

Mario Monicelli a Nanni Moretti su Io sono un autarchico

Lo si puo’ scrivere oggi con certezza, anche se lo si era in verita’ intuito ai tempi: Il Divo rappresentava gia’ il baratro della nuova autorialita’ del cinema italiano proprio nell’istante della sua piu’ fulgida visibilita’ e gloria critico/festivaliera. Il fraintendimento internazionale non teneva conto di quello che invece si poteva davvero capire guardando anche solo la superficie di quella automobile di Falcone costretta a volare in aria e ripiombare verticalmente nel fosso dell’esplosione per reiterate volte lungo tutto il film. La soluzione non e’ stata l’America, nemmeno stavolta. Sorvoliamo, pare suggerire dunque ancora Sorrentino Paolo (gabbiani al seguito) sia a Bigazzi Luca che allo spettatore: voliamo sopra un apparato di suggestioni letterarie/filosofiche di sconcertante vacuita’ (“indossata” nella maniera migliore dall’impagabile Luca Marinelli nel suo breve ruolo di giovane intellettuale tormentato) che dovrebbe sostenere, attraverso le pensose riflessioni di pigro esistenzialismo da varieta’ del protagonista Jep Gambardella, una complicata giostra formale di sorrentinismo potenziato e mostrato nella sua essenza piu’ pura.
E dunque, appurato che del livello dell’allegoria sulla caduta di Roma e relativo teatro degli orrori non interessa nulla a nessuno (di piu’ e con piu’ oscura dannazione dice una qualunque sequenza a caso del Bellocchio “parlamentare” dell’ultimo Bella Addormentata, solo per fare un esempio), guardiamo ancora una volta alla superficie, e a questo discorso estetico che chiaramente per Sorrentino racconta in se’ il nocciolo della questione (la traiettoria della palla del cannone del Gianicolo sparata e seguita in aria nell’incipit, poi probabilmente affondata nel Tevere dei titoli di coda).

Ecco, l’intera concezione della messinscena de La grande bellezza racconta in maniera lampante di una mancata presa di posizione (intendendo gia’ la posizione perennemente e ostinatamente cangiante e ondivaga della mdp), e di una abissale trasparenza, vera e propria invisibilita’, dei personaggi (diverse volte l’obiettivo di Bigazzi e lo sguardo di Servillo sembranocarlo verdone e toni servillo in La grande bellezza

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mancarsi, non incrociarsi, distogliersi a vicenda, eppure e’ chiaro che l’attore stia parlando/guardando in macchina: questo forse, spiega tutto, e lo lascio tra parentesi). Piu’ che apparire, le visioni del film scompaiono: se di fellinismo si deve parlare, che se ne parli allora al contrario (Luciano Salce e’ forse il nome, o siamo davvero troppo poco autoriali cosi’?).
Il dramma piu’ tremendo de La grande bellezza e’ davvero la sua latente mancanza di ambizione, nascosta dalla carta da parati d’oro intarsiata e barocca: un film piccolo piccolo (quasi quanto C’era un cinese in coma del complice fuggitivo Carlo Verdone, sempre piu’ profetico e lucidissimo testo centrale da recuperare per decifrare il cinema italiano del nuovo millennio…) gonfiato fino all’esasperazione come le polifonie vocali della colonna sonora, un’autodistrazione piu’ che un’autodistruzione.
Insieme al Reality di Matteo Garrone, presentato giusto un anno fa sempre a Cannes, questo La grande bellezza e’, per tornare all’inizio, giusto la stampa ornamentale di quella che fu salutata come una rinascita della tradizione “impegnata” del cinema italiano, travisatasi da se’ in un conclave di claustrofobica, ostinata commedia all’italiana destrutturata ed essiccata.
Fine dei giochi (e inizio del romanzo): tutto questo cinema si riduce, suo e nostro malgrado, a conti fatti ad un’ennesima, maledetta, commedia all’italiana.

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    16 commenti

    • The Sozzo's touch! E l'intellettuale napoletano impari a fare (meglio) le pizze!

    • Il titolo più adatto era La grande monnezza

    • L'unico personaggio veramente felliniano è Anita Kravos che si schianta contro l'acquedotto durante la rappresentazione artistica. Ma l'intervista è delinquenziale!

    • Ero alla proiezione di ieri alla casa del cinema. Il pubblico rideva. Forse hai ragione Sozzo è proprio commedia all'italiana. Altro che Fellini. Il cinema italiano è sempre più specchio della politica italiana: falso e lontano dalla realtà. Dio li maledica tutti, politici e registi!

    • Ma chi ha stabilito che Servillo è un grande attore? in base a quale parametro?

    • Ma che film avete visto? La poesia non la conoscete eh? Neri Parenti ve lo meritate… già ma a voi piace il grande piccolo gatsby, tenetevi pure le vostre americanate, noi ci teniamo il grande Sorrentino!

    • Bellissima recensione, complimenti cari miei amati selvaggi! Ma non so se ho tanta voglia di vederlo, il film…

    • all'anonimo qua sotto: "noi ci teniamo il grande sorrentino"… ma noi chi??? Parla per te!

    • anzi, correggo, a Daria Longhi: "noi ci teniamo il grande sorrentino"… ma noi chi??? Parla per te!

    • a noi che piace sorrentino…ahahahhahahaha! la sinistra snob ormai è sottoterra, tenetevi sorrentino e la finocchiaro, fate schifo!

    • Come siete simpatici con il vostro anonimato. Guardatevi che dice la stampa internazionale, invece:
      Variety – Jay Weissber:
      Una intensa e spesso sorprendente festa cinematografica che onora Roma in tutto il suo splendore e superficialità.
      The guardian – Peter Bradshaw:
      La grande bellezza, come la grande tristezza, può significare amore, sesso, arte o morte, ma soprattutto significa Roma, e il film vuole annegare nell’insondabile profondità della storia e della mondanità romana.
      Hollywood reporter – Deborah Young:
      Fortunatamente il regista Paolo Sorrentino sa fare di meglio che imitare il gigantesco Fellini e "La grande bellezza" è molto più di un inchino riverente, ripartendo da dove "La dolce vita" ci ha lasciati 53 anni fa.
      Screen International – Lee Marshall:
      Certamente questa miscela di satira sociale e di malinconia esistenziale, questa ricerca della poesia anche ridicolizzando la poesia stessa è stato già fatto da Fellini. Ma La Grande bellezza rim …

    • "sorrentino e la finocchiaro"?! oh mio dio, ma che c'entra?? povero sozzo.. lui ci prova ad elevare la discussione sul film ad un livello intellettuale alto ma purtroppo le molti lettori riportano tutto a volgari dibattiti da bar sport..

    • @palermitano
      non ho ancora visto il film e non mi esprimo, ma so ancora leggere e nella rece non si discute se servillo sia o non sia un grande attore, nè lo si considera "il" problema del cinema di sorrentino. detto ciò, chi ha stabilito che servillo è un ottimo attore? non lo so, ma credo sia un ottimo attore (e mi pare anche una persona squisita)

    • Se non piace al sig. Sozzo allora è la dimostrazione che sia un gran film. Per lla sua stroncatura snob mi sento di citare ( a memoria) il monologo finale: 'Sparuti incanti di bellezza e poi lo squallore sgraziato e l'uomo miserabile. E poi BLA BLA BLA'

    • Gentile Signor Sozzo, non ho ancora visto il film quindi non entro nel merito.
      Certo è che la sua recensione mi appare un lezioso esercizio di stile, un autoreferenziale gioco di utilizzo delle parole,insomma una buona occasione!!!

    • Remotti Romolo

      Il buon Sozzo ne ha utilizzate persino troppe di parole per quest'operazione insulsa e di maniera, orribilmente fuori tempo, in cui si nota che Sorrentino ha visto molti bei film ma non ha capito quasi nulla e ce li restituisce in un formato Bignami a misura di una trasmissione di raitre stile Fazio o Dandini. Oggi la "casta" non è quella rappresentata, ha matrici e derive ben diverse e quella del film sembra piuttosto un ritratto nostaglico di un'epoca che non c'è più. Come per Il Divo Sorrentino arriva sempre in ritardo (e male) sulle cose di cui parla. Forse dovrebbe uscire fuori dai salotti medioborghesi in cui vive, tra Napoli e Roma, e vivere un po' più dentro le macerie del nostro tempo. Ne scoprirebbe di novità!