CANNES 66 – "L'image manquante", di Rithy Panh (Un certain regard)
Tratto dal libro The Elimination (scritto a quattro mani con Christophe Bataille), il film ripercorre gli anni in cui lo stesso regista ha vissuto l’esperienza del totalitarismo mescolando le pochissime immagini di repertorio sopravvissute con una ricostruzione al tempo stesso efficace e poetica che usa modellini di terracotta di uomini, donne e bambini colti nella loro vita di prigionieri di un paese che non possono più riconoscere. Miglior film "Un certain regard" al 66° Festival di Cannes
Il cinema del regista cambogiano Rithy Panh é da sempre interamente rivolta alla storia drammatica del suo paese, messo a dura prova dal regime dei khmer rossi, che ha lasciato ancora molte ferite aperte. Si tratta di una vera e profonda opera di ricostruzione di un passato di cui sono state quasi completamente cancellate le tracce, un lavoro doloroso che il cineasta ha affrontato fino ad ora a partire dai più diversi punti di vista, ma sempre con l’idea di colmmare il vuoto di una memoria collettiva violentemente cancellata.
La memoria, dunque, come filo conduttore di tutto il suo lavoro dietro la macchina da presa, sia che si tratti di documentari, sia che abbia scelto la finzione per raccontare storie piccole e grandi del suo popolo. “Vedo uno stretto legame tra l’assenza di lavoro sulla memoria, il deficit di democrazia, la mancanza di uno stato di diritto e anche il sottosviluppo” dice il regista, che in L’Image manquante (presentato nella sezione Un certain regard) ritorna sugli anni della suia infanzia, distrutta dalla salita al potere di Pol Pot e caratterizzata dalla crudeltà di un mondo che cambia comletamente davanti ai suoi occhi.
Tratto dal libro The Elimination (scritto a quattro mani con Christophe Bataille), il film ripercorre gli anni in cui lo stesso regista ha vissuto l’esperienza del totalitarismo, la morte dei genitori, la scomparse del fratello, la detenzione nei cosiddetti campi di rieducazione, e lo fa mescolando le pochissime immagini di repertorio sopravvissute con una ricostruzione al tempo stesso efficace e poetica che usa modellini di terracotta di uomini, donne e bambini colti nella loro vita di prigionieri di un paese che non possono più riconoscere. Quasi un film d’animazione, dove, però, i personaggi sono drammaticamente immobili, perché spersonalizzati, resi tutti uguali e quindi senza una vita da vivere.
La ricerca di Rithy Panh si indirizza in tutto il film verso un’immagine-simbolo della dittatura impossibile da trovare, inesistente in se stessa, eppure ancor più presente nella sua assenza. Come spesso accade nel suo cinema aperto alle più ampie suggestioni, è il sonoro a giocare un ruolo determinante perché mette a fuoco i dettagli, mostrando quello che sarebbe stato impossibile far vedere. I rumori rendono reale quello che ci viene raccontato attraverso l’animazione, creano la profondità nel tempo, quella distrutta dal regime che il cinema, ora, riesce lentamente a riconquistare. Ecco il senso dell’immagine mancante cui fa riferimento il titolo: la ricerca di un tassello sconosciuto per far riaffiorare la memoria sepolta.