CANNES 66 – “Sarah préfère la course”, di Chloé Robichaud (Un certain regard)

Sarah préfère la course

In questa asetticità che diventa scelta estetica, la regista canadese lascia ai margini il mondo di Sarah. La sua mancanza di emozionalità fa apparire verboso anche un film con pochi dialoghi. E che nell’anestetizzare e sfocare alcuni dei passaggi decisivi finisce per soffocare se stesso

 

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Sarah préfère la courseUn film sulla corsa che resta imbrigliato ai nastri di partenza. Strano il destino di Sarah préfère la course della regista canadese Chloé Robichaud, qui al primo lungometraggio dopo essere stata in concorso l’anno scorso nella sezione cortometraggi con Chef de meute.

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Sarah è una giovane atleta nella corsa mezzofondo a cui viene offerto un posto nel club universitario di atletica a Montréal. Lei vorrebbe andarci ma la madre non può pagarglielo. Alla fine riesce a entrarci e trova uno stratagemma con l’amico Antoine: i due decidono infatti di sposarsi per ottenere la borsa di studio del governo. Ma la loro convivenza non è facile.

L’inizio del film, con l’allenamento, sembrava entrare dentro le forme classiche del genere ma poi la Robichaud ha deciso di seguire strade diverse e per mettere a fuoco quasi esclusivamente l’universo privato della protagonista, interpretata da Sophie Desmarais. Attraverso di lei, sceglie quasi un percorso di percezioni soggettive. Gli ambienti attraversati da Sarah risultano asettici, quasi indifferenziati. Ci sono le luci fredde degli spogliatoi, degli interni domestici, dell’ospedale. E anche la festa, dove la ragazza ha un malore mentre l’amica sta facendo il karaoke, si svolge in una casa priva di calore, dove anche le luci dello schermo dove passano le parole del brano appaiono intermittenti e la musica spenta.

In questa asetticità che diventa scelta estetica, però la regista lascia ai margini il mondo di Sarah. La sua mancanza di emozionalità (nel rapporto con la madre e in quello con Antoine) non trova poi adeguato sfogo nelle scene sportive, troppo limitate, in un film troppo verboso, anche con pochi dialoghi, che nell’anestetizzare e sfocare alcuni dei passaggi decisivi (come la richiesta di matrimonio) finisce per soffocare se stesso.

 

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