CANNES 67 – The Target (Pyo Jeok), di Cheng (Séances de minuit)


Il regista mira a confezionare un blockbuster zeppo di star e gonfio di sequenze d’azione, come tanto piacciono ai botteghini di Seoul, ma nel suo tentativo di girare un action cattivo, sgranato e d’assalto, senza fronzoli né derive o deviazioni, Cheng mette in scena unicamente la sua confusione di direttore delle traiettorie a vuoto dei personaggi

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Surface of Last Scattering (si ascolta QUI), dal nuovo recentissimo album dei Many Arms Suspended Definition (in streaming integrale, benedizione da sala stampa in cuffia), per molti versi il loro lavoro migliore, è un pezzo anche inusuale per il trio di Nick Millevoi: nella sua clamorosa potenza è il brano dei Many Arms che paga il tributo più eloquente al padrino della formazione, quel John Zorn che li ha accolti in Tzadik – sarà una suggestione figlia degli strilli del sax ospite di Colin Fischer dei Caribou? Sta di fatto che la devastante intro basso + batteria è in puro stile Moonchild, e l’innesto della chitarra e del sassofono in parallelo e gloriosamente fuoritempo riporta quasi all’espediente della Nefertiti davisiana: non siamo in ambiente troppo facilmente mappabile per le abitudini usuali del marasma amplificato dei Many Arms? Forse il senso è in quei vertiginosi secondi di “buco” prima della reprise conclusiva del tema, quasi una sorta di errore di buffering, interruzione del download. Qual è il target, come recita il titolo del film dell’autore di videoclip coreano Cheng?

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Il regista mira a confezionare un blockbuster zeppo di star e gonfio di sequenze d’azione, come tanto piacciono ai botteghini di Seoul: dunque si preoccupa di innalzare una base ritmica che possa reggere le scazzottate, gli inseguimenti, le sparatorie. Siamo all’inizio del brano dei Many Arms, e in Pyo Jeok siamo invece alla costruzione del rocambolesco gioco di rimpalli che unisce un tranquillo medico a un mercenario-killer infallibile e letale a una vicenda di sbirri corrotti, mogli rapite, fratelli con la Tourette ammazzati. L’inghippo non è granché ma in questi casi quello che importa è quasi che in certi passaggi o cambi di tempo ci si riconosca da subito, familiari. E’ il momento in cui dovrebbero partire gli assoli, i duelli tra gli strumenti solisti impegnati in virtuosismi e circonvoluzioni: e c’è da dire che Ryu Seung-ryong si dà un gran da fare mostrando, lui che viene dal teatro e soprattutto da un cinema più leggero, un enorme impegno nel menare le mani e nell’atletismo richiesto dalle sequenze di corpo-a-corpo, con pochissima originalità fasciate da Cheng in grossolani pianosequenza. L’assalto finale dalla stazione di Polizia in cui un plotone di piedipiatti cattivi lo aspetta armato di tutto punto è un classico game of death senza guizzi né sorprese.
Nel suo tentativo di girare un action cattivo, sgranato e d’assalto, senza fronzoli né derive o deviazioni, Cheng mette in scena allora unicamente la sua confusione di direttore delle traiettorie dei personaggi, come quegli ascoltatori distratti che davanti al rumore bianco di un album come quello dei Many Arms si professano in grado di poter replicare senza alcuna difficoltà quel frastuono disarticolato, pur non essendo musicisti. Ma quando Cheng butta via le figure del medico e della fenomenale poliziotta Kim Sung-ryung ti viene da consigliargli di prestare bene orecchio alla lezione sull’importanza delle sgrammaticature nascosta nelle abrasioni della chitarra di Nick Millevoi, che ripetono piccole cellule musicali ancora e ancora, come il fratello sacrificale del film con la Tourette.

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