#Cannes2016 – Aquarius, di Kleber Mendonça Filho

Un saggio sulla memoria e quindi sull’archivio e sul supporto fiisco. Un film contro l’espropriazione forzata, violenta dei nostri piaceri, dei nostri ricordi, delle nostre speranze. In concorso

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Son le cose

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Che pensano ed hanno di te

Sentimento. Esse t’amano e non io

Come assente rimpiangono te

Son le cose prolungano te

 

Le cose che pensano… Gli oggetti hanno una memoria, sono depositi di ricordi e sentimenti. Lo sapevano Lucio Battisti e Pasquale Panella, che nell’aprire Don Giovanni costruivano sulle cose un’intera canzone al passato remoto. Oggetti e canzoni: due elementi fondamentali di Aquarius, il secondo lungometraggio di Kleber Mendonça Filho.

La storia ruota intorno a Clara, una donna sulla sessantina, di gran carattere ed eleganza. Ma soprattutto tutto ruota intorno al suo appartamento, che nel corso dei decenni ha visto passare uomini, donne, bambini, le mille storie di famiglia. Vedova ormai da tempo, un cancro al seno superato non senza cicatrici, una gran carriera nella critica musicale, Clara va avanti con forza e gioia di vivere. Ed è innamorata della sua città, Recife, e della sua casa al primo piano dell’Aquarius, un edificio costruito negli anni ’40 in Avenida Boa Viagem, a pochi passi dall’Oceano. Zona agiata, ma non troppo distante dai quartieri poveri. Tutti gli altri appartamenti del condominio però sono ormai disabitati, acquisiti in proprietà da una grande ditta di costruzioni, che ha in mente un nuovo progetto di lusso per l’area. L’unico ostacolo ai lavori è costituito proprio da Clara, che non vuole saperne di lasciare casa e voltare le spalle al passato.

 

aquarius2Il conflitto è già scritto, istituito tra la aggressività speculativa del mercato e la resistenza antieconomica dei sentimenti. Ma è un conflitto che si amplia, nel discorso di Kleber Mendonça Filho, fino a metter in gioco quella crisi irreversibile dell’oggetto e dello spazio fisico che ci racconta il tempo in cui viviamo. A partire dalle trasformazioni nell’idea stessa di città, di uno spazio urbano rivoluzionato e ridisegnato secondo le esigenze di una contemporaneità che pare non riconoscere più la densità materiale della storia. Aquarius è un omaggio commosso a Recife già a partire da quelle istantanee iniziali, in bianco e nero, che ne fotografano la topografia, la conformazione urbanistica, quella bellezza sospesa tra l’accumulo verticale dell’edilizia e l’orizzontalità magica dell’Oceano. Mendonça riconosce e racconta i segni identificativi della sua città, ma ne coglie anche tutte le cicatrici, i conflitti, i confini, le mutazioni spersonalizzanti. Che dalla geografia si riflettono poi nel tessuto delle relazioni sociali, dalle divisioni razziali e di classe, fino alle commistioni tra l’élite e l’economia, quelle che generano le consorterie, le chiese che hanno in mano la città e la sua immagine. Ma andando oltre, con lucidità critica, Mendonça registra anche la smaterializzazione progressiva dell’altro mondo, il secondo o il terzo fate voi, quello in cui circolano le informazioni, in cui i desideri e gli interessi si tramutano nei consumi culturali, che si aggiungono strato su strato alle nostre esperienze e ai nostri rapporti personali.

Fino a fare di Aquarius un saggio sulla custodia e la trasmissione della memoria. E quindi sull’archivio e sul supporto fisico. L’appartamento e il mobile (che apre i ricordi passionali di zia Lucia) valgono come tracce, simboli. E quindi sono anch’essi supporti, a cui si aggiungono gli album di famiglia, le vecchie foto, i ritagli di giornali. E i vinili, che Clara custodisce e ascolta ancora con passione, godendo di ogni fruscio della puntina, di ogni salto e impurità. Non si tratta solo di un discorso antimodernista. Clara non disdegna la musica in mp3, che gli scarica il nipote. E benedice il suo rapporto con la ragazza conosciuta su facebook. Ma purché tutto questo sia in grado di ritornare alla dimensione della vita concreta, di tradursi in carne e sesso. Ritorni alla materialità dell’esistenza e non al suo fantasma incorporeo. E Aquarius è un film umido, che trasuda calore, carne, sensualità, che siano immagini rubate o orge grottesche e disgustose o desideri non ancora sopiti. È un film di fantasmi che si rimaterializzano e corpi che fanno all’amore, che ballano, si ubriacano, fremono di passione, rabbia, nostalgia. A cominciare da quello fantastico di Sonia Braga, che si mette sulle spalle tutto il film. È un film contro l’espropriazione forzata, violenta dei nostri piaceri, dei nostri ricordi dolci e amari, delle nostre speranze.

 

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