#Cannes2016 – Dogs, di Bodgan Mirică

Esordio nel lungometraggio più che promettente che mostra una Romania rurale che poi diventa astratta. Con uno sguardo verso Sam Peckinpah. Un certain regard

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La terra come controllo del potere. Dove entra in gioco l’avidità della natura umana per ottenerne il possesso. Dai rumori del paesaggio e l’insistente abbaiare del cane, Dogs si mostra già come un film chiuso, pieno di tensioni e conflitti nascosti. Personaggi corrotti, che non si fermano davanti a niente. Roman torna nelle terre del nonno che ha ricevuto in eredità. Quando decide di vendere la proprietà, si ritrova davanti a dei malaffari di cui il nonno era a capo. Questi personaggi non siu fermeranno davanti a niente pur di continuare i loro traffici.

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Come un western malato. Con una scena notturna potentissima, quella in cui il protagonista sente dei rumori strani e si precipita fuori. Prima dei personaggi, sono i rumori che costituiscono un costante elemento di minaccia. L’immagine di una Romania rurale diventa astratta in quanto Dogs potrebbe essere ambientato in ogni luogo in ogni tempo.

È una lotta di sopravvivenza e piccole prevaricazioni di potere che può accadere dovunque. Bodgan Mirică, qui al suo primo lungometraggio dopo i riconoscimenti avuti per il corto Bora Bora del 2011, sembra apparentemente utilizzare uno stile impassibile. In realtà diventa cinematograficamente catturato e impotente davanti gli eventi, lasciando avvertire anche la presenza del fuori-campo come terreno (non filmato) di minaccia nascosta. I limiti possono rintracciarsi in alcuni dialoghi un po’ lunghi o in qualche caricatura drammatica come nella scena del poliziotto con il sangue sputato per terra. Ma la violenza è furiosa, accumulata negli sguardi prima che nella sua manifestazione effettiva. Mirică non mostra tutto. Quello che accade in Dogs è anche nella scena non filmata, nel salto temporale. Forse tra i suoi riferimenti c’è il cinema di Sam Peckinpah. E questo film potrebbe essere il suo Cane di paglia.

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