#Cannes2016 – Ma’ Rosa, di Brillante Mendoza
Ci ha sedotto, conquistato e poi malamente abbandonato. Il regista filippino cerca di tornare alle forme del suo primo cinema ma appare ormai come fermo su se stesso. In concorso
Ci ha sedotto, conquistato e poi malamente abbandonato. Del cinema di Brillante Mendoza ultimamente resta soltanto la superficie e Ma’ Rosa ne è la drammatica conferma. Del realismo angosciante di Kinatay (con cui aveva vinto il Premio per la regia proprio qui a Cannes nel 2009), della matericità degli slums polverosi e fangosi di Manila di Tirador, resta soltanto un eco quasi sordo. Ma’Rosa prende il titolo dal nome della protagonista che gestisce una drogheria in un quartiere povero della città. Con suo marito Nestor rivende illegamente dei narcotici e un giorno i due vengono arrestati. Si trovano davanti a dei poliziotti corrotti e per uscire devono pagare una cauzione. Ma non hanno i soldi necessari.
Il tema del denaro è dominante. Già dall’inizio nel supermercato in cui alla protagonista mancano le monete del resto della spesa. Al continuo rapporto oggetto-denaro, dal karaoke, al telefonino della figlia di Ma’Rosa. Mendoza si chiude ancora di più in un estetismo pericolosissimo, dove anche l’improvvisa violenza nella stazione di polizia o il pestaggio per strada somigliano ormai a un realismo di esportazione, un cinema pensato per essere mostrato ai grandi festival, ma che ha disperso buona parte del suo impatto. I segni erano chiaramente percepibili da Captive. E Ma’ Rosa diventa il tentativo di riavvicinarsi alle forme del primo cinema che però al tempo stesso dimostra come sia cambiato. Ci sono le strade di notte. Con le sue luci e i suoi rumori. E sono forse soltanto le sonorità – come quella della pioggia che cade incessantemente – gli elementi di continuità autentici, di un cinema che gioca spesso sulla formula di azioni reiterate con il pretesto di voler catturare la realtà, che scivola spesso sul bagnato e poi cade non solo malamente ma pericolosamente in una scena da ‘turismo sessuale’ in albergo in cui c’è non tanto l’incertezza ma proprio l’ambiguità di quello che si può filmare. Ma che non ha la forza né di tagliare né di arrivare fino in fondo. I figli di Ma’Rosa sono i nuovi ‘foster child’. Divisi e lasciati a se stessi. Con in più un legame di sangue che sono tra i tanti elementi che Mendoza mette confusamente nel film. Ormai marionette di un cinema che appare come fermo (come il marito della protagonista), incapace di agire, quasi paralizzato. Con in più la volontà di dimostrare che ‘nulla è cambiato’.