#Cannes2016 – Voir du pays, di Delphine Coulin e Muriel Coulin

Le cineaste firmano un’opera antimilitarista che allo stesso tempo riesce a raccontarti delle storie, a farti entrare nei tormenti delle due protagoniste femminili. Un certain regard

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Ancora una volta una storia di amicizia al femminile. Come nel precedente 17 ragazze. Ma stavolta il panorama non è la provincia francese, bensì l’esercito. Una famiglia allargata si penserebbe, anche se maschilismo e stress post-traumatico rischiano di trasformarla in una polveriera pronta esplodere. Marine e Aurore sono due giovani militari donne, amiche d’infanzia in Bretagna. Trascorrono insieme alla loro squadra tre giorni di “decompressione” a Cipro, dopo alcune missioni in Afghanistan. Nonostante l’albergo a cinque stelle, le feste in piscina e gli esercizi psicologici di scarico, dimenticare i traumi della guerra diventa quasi impossibile. Una delle sequenze piu’ interessanti è quando alcuni soldati, tra cui Aurore, si sottopongono alla confessione di una imboscata subita in guerra che attraverso un apparecchio tecnologico viene riprodotta virtualmente in 3D su uno schermo alle loro spalle. Alle parole con cui ricordano gli scontri a fuoco corrispondono cosi’ immagini in computer grafica che rimandano immediatamente ai videogame contemporanei, (iper)realistici e spettacolari. Una scissione tra verita’ e rappresentazione e allo stesso tempo la ormai assoluta indiscernibilita’ tra i due poli. In verita’ Voir du Pays è un film che deposita la violenza soprattutto sotto traccia, dietro gli occhi allucinati di Max o il volto cupo di Marine. La linea di confine tra documentarismo e fiction è leggerissima, soprattutto nella parte introduttiva. Poi nella seconda la violenza repressa esplode, i conflitti tra i personaggi si aprono e il discorso politico delle cineaste si fa apertamente duro. Forse anche troppo.

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Non tutto è perfetto nel cinema delle sorelle Coulin. Nonostante l’apparente libertà espressiva la loro sembra ancora un’opera condizionata più dalla scrittura che da una piena consapevolezza dell’immagine. Non hanno la potenza antropologica e cinematografica della Sciamma per intenderci. Eppure questo secondo film era scomodo e difficile. E’ un cambio di registro importante rispetto a 17 ragazze, che pure raccontava un’altra storia di frustrazione e disagio, un’altra gabbia da cui uscire attraverso una maternita’ compulsiva, ma lo faceva nella comfort zone del racconto adolescenziale francese. Qui di fatto le cineaste firmano un’opera antimilitarista che allo stesso tempo riesce a suggerirti delle storie, a tracciare dei percorsi interni e a farti entrare nei tormenti delle due protagoniste femminili – con Soko decisamente più convincente come donna-soldato ingrugnita che nelle vesti aggraziate de La danseuse. A loro le Coulin concedono l’unico punto di vista affettuoso, dentro un mondo ruvido e asfissiante. E l’immagine di Cipro tra lussuosi alberghi edonistici, vitelloni locali con i fucili nel portabagagli e muri di confine tra Grecia e Turchia, resta viva. E’ una terra di mezzo che racconta molto bene l’Europa di oggi e la societa’ in cui vivamo.

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