#Cannes2017 – Cuori puri, di Roberto De Paolis

Un esordio pensato a lungo, sospeso tra una continua rielaborazione della scrittura e la sua natura istintiva. Più mondi rappresentati, ma non tutti messi a fuoco. Alla Quinzaine

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Una corsa in apertura e in chiusura. Un inseguimento. Che possiede anche qualche impeto proveniente dal cinema francese. Dove i giovani protagonisti sembrano mettersi in gioco, gettarsi addosso alla macchina da presa. Si, ancora l’ombra di Truffaut. Come nell’ottimo Fiore, presentato proprio a Cannes alla Quinzaine l’anno scorso, la stessa sezione che ha selezionato quest’anno il primo lungometraggio di Roberto De Paolis Cuori puri assieme a L’intrusa di Leonardo Di Costanzo e A ciambra di Jonas Carpignano. Le corse ma anche la presenza del mare. Forse riferimento ormai immediato. Non solo per i giovani cineasti francesi ma per alcuni italiani. Più inconsapevole che calcolato.

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cuori puri selene caramazzaAgnese (Selene Caramazza) sta per compiere 18 anni. Vive con una madre intransigente (Barbora Bobulova), frequenta spesso la chiesa e sta per pronunciare una promessa di castità fino al matrimonio. Stefano (Simone Liberati) ha 25 anni. Ha un passato difficile e ora lavora come custode in un parcheggio di un centro commerciale che confina con un campo rom. Sono diversissimi. Ma tra loro nasce un sentimento autentico, anche se la loro storia è piena di ostacoli.

Si avverte una continua definizione della scrittura nel lungometraggio d’esordio di Roberto De Paolis, che aveva già alle spalle i corti Bassa marea e Alice. Per rappresentare più universi: quello della comunità rom, quella religiosa, e la criminalità. La periferia di Roma (Tor Vergata) diventa lo spazio essenziale per un cinema in cui c’è una fusione tra i personaggi e gli ambienti, che cerca di catturare istintivamente gli stati d’animo dei due protagonisti, anche attraverso piani schiacciatissimi, facendoli cuori puri selene caramazza simone liberatifondere con la luce non artificiale e seguendone le pulsioni istintive nei loro movimenti. Ma non sempre funziona. La scena della rapina appare quella più riuscita ma tutti gli elementi di separazione che caratterizano la storia tra Agnese e Stefano sembrano troppo studiati, come se si avvertisse uno scarto tra la definizione della scrittura e la messinscena. Ed è così che mentre la rabbia implosa di Stefano appare efficace (anche grazie alla convincente prova di Simone Liberati), invece sembra più impermeabile e inaccessibile il mondo della comunutà religiosa, già mostrato anche se in una chiave diversa – quella dei testimoni di Geova – nel recente La ragazza del mondo. E questo si vede anche in alcuni dialoghi, come quelli con al centro Don Luca (interpretato da Stefano Fresi): “Gesù è come il navigatore della macchina. Ricalcola il percorso”. Forse ci sono troppi mondi dentro Cuori puri. E non tutti sono messi a fuoco. E la natura fisica di un cinema che vuole spesso catturare l’impeto, lo scatto improvviso, va a intermittenza. Forse serviva una maggiore sintesi. Anche nella durata. Un cinema che crea una simbiosi con i suoi due protagonisti, ma da cui si avverte un eccessivo isolamento.

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