#Cannes2017 – La Caméra de Claire, di Hong Sang-soo

Forse oggi il cinema di Hong è l’unico davvero “universale”. Perché i suoi film possono esser pensati e girati ovunque, senza che venga mai meno la piena riconoscibilità del tocco. Fuori concorso

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Concorso o fuori concorso, per Hong Sang-soo è la stessa, identica cosa. Probabilmente, eccezion fatta per Woody Allen, oggi il suo è l’unico cinema davvero “universale”. Perché i film di Hong possono esser pensati e girati ovunque, in ogni luogo della Terra, e possono esser proiettati dappertutto, su qualsiasi dispositivo, senza che venga mai meno la piena e perfetta riconoscibilità del tocco. Sembrano di formato incomprimibile, stanno lì, apparentemente uguali, immobili, eppur capaci sempre di variare, di assorbire e riverberare gli umori, le luci e i colori di un luogo. E così, se all’ultima Berlinale arriva un film girato ad Amburgo, per il primo dei due titoli previsti in questa Cannes 70, eccoci in Costa Azzurra, tra mare, palme, pietre bianche e tavoli di café.

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la camera de claire2Dal grigio cupo di On the Beach at Night Alone si passa alla luce diffusa, chiara de La Caméra de Claire, ma in fondo non cambia molto. Le questioni son sempre quelle: l’amore, la solitudine, l’ansia della felicità, l’incapacità del controllo e il senso precario di una separazione inevitabile. E il dispositivo di Hong Sang-soo ha la capacità di adattarsi a qualsiasi situazione, alla velocità della luce, come fosse improvvisato al momento, pura registrazione della vita che passa, qui, tra le mani, davanti agli occhi. Immagino che se invitassimo Hong ad Avellino, girerebbe subito un film, che so, tra il bar Olga e la villa comunale, tra il centro storico e i tavoli di Daniele. Con la pioggia e l’alcool che scendono copiosi, ovviamente… Ma questa veloce leggerezza, sebbene possa ignorare le evoluzioni della scrittura, non può fare a meno della chiarezza delle idee, della precisione di un ragionamento, della capacità di leggere nell’animo, tra i cuori. La velocità richiede esattezza e, film dopo film, Hong, lavorando su pochissime variabile narrative, inchioda un punto netto su un sentimento, uno stato esistenziale e, al tempo stesso, su una questione teorica specifica. Quasi sempre si tratta di un punto interrogativo, ma è pur sempre un segno capace di separare un film dall’altro, di indicare una variazione, un distinguo.

la camera de claire1Qui torna Isabelle Huppert, non più in another country, ma fa lo stesso. È lei Claire, un’insegnante che accompagna un’amica a Cannes per il festival del cinema (fuori stagione…). Qui incontra Manhee (ancora Minhee Kim, protagonista indiscussa degli ultimi lavori di Hong), addetta alle vendite di una casa di distribuzione, appena licenziata dalla sua datrice di lavoro, con la pretestuosa scusa di una mancanza di onestà. In realtà, sotto c’è una questione di gelosia. E a rivelarlo sono le foto di Claire, appassionata di istantanee, capaci di catturare momenti di realtà altrimenti invisibili. Non potrebbe esserci immagine più netta, evidente, di questa, come se ci trovassimo di fronte a un Blow Up ormai privo di ogni peso specifico, un Antonioni definitivamente liberato dalla forza di gravità del pensiero. Eppure, come sempre in Hong, l’immagine ha un doppio fondo, nasconde dietro l’apparente levità, il senso di un’impasse insuperabile. Dopo una sbronza solenne, non ricordiamo nulla, la visione è confusa. E così non ci è dato vedere quanto passa attraverso la camera chiara: le foto sono dette, raccontate, il sentimento è intuito, ma non compreso né tanto meno ripreso. La verità è fuori campo, così come il senso della vita. Non sapremo mai cosa si son dette Minhee e la sua rivale. E forse neanche loro ne saranno consapevoli. Così come non sapremo mai cosa sarà del futuro. Se non che sarà uguale al passato. Un sublime, oscuro mistero…

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