#Cannes2017 – Le Redoutable, di Michel Hazanavicius

Più che un omaggio una parodia sconcertante in cui Hazanavicius prende morbosamente a picconate la svolta maoista di Jean-Luc Godard e la sua relazione amorosa con Anna Wiazemsky. In concorso

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Prima o poi doveva accadere che la borghesia si vendicasse di Jean-Luc Godard. Ci ha pensato Michel Hazanavicius, che aveva già “usato” il cinema muto per quel suo giochino che tanto aveva appagato i palati del pubblico dei salotti e di quello hollywoodiano. Stavolta è il turno della Nouvelle Vague. O meglio del suo esponente più estremo, controverso e “geniale”. Al centro di Le Redoutable c’è il libro scritto da Anna Wiazemsky che racconta nell’arco di un anno allori e ceneri del suo matrimonio con il regista di Fino all’ultimo respiro. Siamo a Parigi nel 1967. Godard (Louis Garrel) è il regista più celebrato del suo tempo e ha appena finito di girare La cinese. Sul set si innamora di Anna (Stacey Martin). Lei ha 20 anni, lui 37. Diventano presto la coppia cinematografica più chiacchierata dei tabloid. Lei per Godard ha una venerazione (anche se dice di amare solo Jean-Luc). Lui dice di essere un attore, “neanche troppo bravo”, che interpreta Jean-Luc Godard. La cinese è il suo film più politico, ma quando esce in sala non ha il successo che merita. Il pubblico non va a vederlo e la critica lo accusa di intellettualismo. Godard entra in crisi. Il ‘68 è alle porte e lui, fervente maoista, vuole intercettare il linguaggio e le necessità dei movimenti studenteschi. Si chiude in se stesso e in una sua nuova visione del cinema. Rinnegherà tutte le sue opere precedenti per cambiare strada. Non sarà più il regista star bensì un rivoluzionario come gli altri, pronto a combattere il sistema attraverso film collettivi e antiborghesi. Ma il cambiamento di prospettiva porta inevitabili conseguenze anche sul piano sentimentale. Anna si è innamorata di un regista, non di un politico e il 1968 li allontana per sempre.

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A leggerla così sembra quasi una parodia. E infatti lo è. Hazanavicius prende a picconate lo status del grande regista francese, mutuando con perfidia quasi inaccettabile gli stessi stilemi godardiani: cartelli, voci in fuori campo che parlano in terza persona e dialogano con il pubblico, jumpcut, colori sgargianti alla Pierrot le fou. Insomma come in The Artist aveva simulato Chaplin e Buster Keaton, in Le redoutable è la volta del linguaggio “sperimentale” degli anni 60, che viene usato come superficie vintage metacinematografica da applicare su questa storia d’amore e di intellettuali. Eppure non c’è alcun tipo di sentimento nostalgico nel film di Hazanavicius, né omaggi appassionati alla Nouvelle Vague. Dietro la tappezzeria, la macchine d’epoca e le canzoni di Adriano Celentano non si nasconde un viaggio nel tempo in cerca di emozioni e moti di ribellione. Non si respira il clima della giovinezza e della sfrontatezza del miglior cinema francese. Ma forse Hazanavicius nel profondo non è e non vuole essere un autore transalpino. Qua e là emerge un cinismo e una fascinazione per la cialtroneria che sembra quasi latina, anche italiana siamo tentati di dire – e il cinema italiano è coinvolto pesantemente qui con le assurde comparsate lontane da ogni verosimiglianza di Bertolucci e Ferreri. Alla fine della fiera Le redoutable è una commedia, che fa quello che Godard non ha mai fatto in vita sua: pensare al pubblico. E in questo a modo suo – dobbiamo ammetterlo – compie persino un’operazione antiaccademica e morbosamente affascinante. E dietro lo sconcerto e la nostra antipatia cinéphile, rimangono tre quattro gag onestamente divertenti, come il comizio all’università sugli ebrei e sui nazisti o gli occhiali di Godard che si rompono in continuazione durante le fughe e le risse a evidenziare programmaticamente la miopia dell’autore di fronte alla realtà e all’amore, come fosse quel Groucho Marx che Jean-Luc amava tanto: “Renoir, Ford, Fritz Lang… dobbiamo ammettere che il cinema del passato è merda borghese. Salvo solo Jerry Lewis e i fratelli Marx”. Ecco fatto. Ci siamo.

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