#Cannes2017 – Un beau soleil intérieur, di Claire Denis

La cineasta francese sembra ritrovare parte di un’energia e una fisicità che sembrava aver smarrito negli ultimi film. Con Juliette Binoche che è insieme limite e risorsa del film. Alla Quinzaine

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Claire Denis/Juliette Binoche. Un cortocircuito continuo, quasi una lotta. Con la cineasta  che vorrebbe stare continuamente addosso all’attrice, coinvolgerla nei vorticosi spostamenti del suo cinema, e l’attrice che invece sembra spingere in direzione opposta. Come per portarsi via il film con sé. È in questo continuo attrito il limite e la forza di Un beau soleil intérieur che vede la Binoche nei panni di Isabelle, una donna divorziata con un figlio, all’ossessiva ricerca dell’amore vero.

Dopo l’interlocutorio White Material e il deludente Les salauds, il cinema della Denis sembra riprendere una sua energia, sia pure a intermittenza. Recupera quella fisicità del corpo, del gesto che era al centro dello straordinario Beau travail e trascina Isabelle in un continuo nomadismo, tra gli spostamenti in macchina, in metro, in treno, facendola deambulare nella notte, il luogo/colore/atmosfera determinante in Vendredi soir.

La scena di apertura di sesso è potentemente ossessiva. Con la macchina da presa che sta attaccata ai corpi, quasi anticamera di una felicità fisica provvisoria, di un film che invece mostra spesso Isabelle come se fosse sempre sola. Anche quando parla con gli altri personaggi. Separata nell’inquadratura. Come incapace di interagire. Di comunicare con gli altri. Ha solo sguardi addosso. Che sembrano pedinarla più che amarla. Come un oscuro oggetto del desiderio. Lei appare sempre in attesa. Di qualcuno. Di qualcosa. Di uno scatto improvviso che le possa permettere di cambiare marcia. In un cinema di ritorni (la presenza di Alex Descas) e le apparizioni improvvise di Valeria Bruni Tedeschi e Gérard Depardieu, quest’ultimo protagonista di un dialogo-confessione a due che oltrepassa il concetto stesso di durata e fa vivere il film oltre i titoli di coda, forse appaiono stranianti alcuni momenti da commedia, come lo sfogo di Isabelle in campagna, che dovrebbero alimentare il senso di oppressione e invece la disperdono.

Se fosse diviso per capitoli, Un beau soleil intérieur potrebbe essere quasi un personale ritorno su Questa è la mia vita di Godard. Juliette Binoche come Anna Karina. Voglio solo che mi amiate. Ma dentro c’è anche la vita e il respiro di Parigi con i suoi rumori e le sue luci come la Tour Eiffel che sembra illuminarla come se fosse un set finto, gli incroci possibili come quel dialogo emozionante tra la protagonista e il tassista. Dopo il bellissimo 35 Rhums, Un beau soleil intérieur ne ritrova in parte l’impatto frenetico ed epidermico del suo cinema. Con la Binoche che è, insieme, limite e risorsa del film. Di una cinesta  che sembra finalmente volersi smarrire di nuovo dentro la sua storia, seguendo l’impeto della sua protagonista.

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