#Cannes2018 – Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché, di Pamela Green

Un documentario che si sviluppa come un giallo sulla prima regista donna del cinema. Un viaggio nel tempo, un affresco della storia del cinema delle origini. Cannes Classics

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Il film più bello del festival di Cannes, per me, è un documentario. Bello e ritmato come un film “con una storia”, e infatti la racconta, una storia, per niente banale. È un documentario che si sviluppa come un giallo, in cui devi cercare di capire chi è che è scomparso, e perché. La persona che è scomparsa è quella di cui il documentario racconta la storia: Alice Guy-Blaché.

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Non è scomparsa del tutto. Quasi. Ce n’è una traccia labile, nei racconti di storia. Eppure lei è la prima regista donna del cinema. E quasi tutte le storie del cinema se ne sono dimenticate, hanno attribuito ad altri i suoi film più importanti, hanno fatto confusione con la data di realizzazione, così che non sembrava più tanto geniale, tanto originale, tanto pioniera.

E invece lo era, accidenti se lo era.

Il film si chiama Be Natural. È il titolo del film di Pamela Green presentato ieri a Cannes Classics. Ed è la frase che Alice Guy-Blaché aveva fatto affiggere dappertutto nei suoi studi: attori e attrici dovevano essere naturali. E in anni in cui tutti

si mettevano in posa, in cui tutti gli attori facevano le facce per essere più evidenti, era una bella rivoluzione.

Ma quella era solo una delle molte rivoluzioni che creò. Alice Guy, nata in Francia, sbolognata dai genitori alla nonna in Svizzera, poi finita in Cile a crescere leggendo in spagnolo e imparando il francese.

Quando iniziò a fare film, Alice Guy-Blaché? Nel 1896. Un momento. Ma non era appena nato, il cinema? Infatti. Era nato, ufficialmente, il 28 dicembre 1895, come sanno anche i muri. E pochi mesi dopo, lei creava i primi film. E non si accontentavano, quei film, di registrare l’esistente, come quelli dei Lumière. Lei raccontava delle storie. Forse rudimentali, come quella del suo primissimo film, la storia di una fata che tirava fuori bambini da sotto i cavoli.

Aveva diciotto anni. Imparare la stenografia, tentare di sopravvivere, proporsi da mille parti, e alla fine quasi per caso trovare lavoro da un certo Gaumont. Che è scettico: “Ma lei è molto giovane, signorina”. E lei: “Prima o poi passerà”.

Ed è così che si ritrova a sbrigare la corrispondenza per quell’uomo d’affari, e a vedere passare dentro lo studio i primissimi esemplari di cinepresa. Non erano neanche a 35 millimetri, ma a 60. E insomma, Alice ha ventidue anni, quando crea il primo film. E ne creerà a centinaia. Sarà lei la prima vera regista degli studi Gaumont, sarà lei ad andarsene negli Stati Uniti, a fondare una casa di produzione sua, a creare la prima vera area di produzione cinematografica, nel New Jersey. Sarà lei la prima a creare film sonori, con il chronophone, sarà lei a fare alcuni dei primi film colorati.

Ma le storie del cinema ne parlano pochissimo. E la regista va a ricostruire la sua storia come se fosse un giallo. Tra documenti, telefonate, ricerche su Google, alberi genealogici ricostruiti, connessioni Skype con persone dall’altra parte del mondo. È un viaggio sul globo terrestre, un viaggio nel tempo, un affresco della storia del cinema delle origini. E quello che è forse più importante, è il migliore omaggio alla donna di questo festival di Cannes, non come il cartoncino col numero verde per le emergenze molestie consegnato a tutti nella borsa del festival. Questo è il vero film sui diritti delle donne. Il diritto a essere considerata, stimata, ricordata nelle storie, il diritto a vedere riconosciuto il talento e il coraggio.

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