#Cannes2018 – La traversée, di Romain Goupil

Ciò che interessa a Goupil non è tanto il personaggio Cohn-Bendit, pur centrale. L’obiettivo è compiere un viaggio insieme tra problemi e aspettative nella Francia di oggi. Scéance spéciale

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Se nel 1968 Romain Goupil è un liceale che partecipa attivamente alle manifestazioni studentesche, Daniel Cohn-Bendit è uno dei leader riconosciuti dei movimenti, di quel fervore di contestazione e rivolta che dalle università si rovescia per strada, dal Gruppo anarchico di Nanterre fino all’occupazione della Sorbona e ai giorni infuocati del maggio francese. Un uomo simbolo (ricordato anche da Truffaut nelle sue memorie sui mesi febbrili degli “stati generali del cinema”), punito fino al 78 con un divieto di soggiorno in Francia più volte violato. Poi, nel corso degli anni Cohn-Bendit cambia obiettivi e strategie del suo impegno politico, discostandosi dalle correnti anarchiche ed extraparlamentari, per assumere posizioni più liberiste e avvicinarsi ai Verdi, sotto le cui file sarà eletto al Parlamento Europeo a più riprese dal 1994. Un percorso di “normalizzazione”, si potrebbe pensare. Di sicuro una personalità controversa e instancabile. Ma ciò che interessa a Goupil non è tanto il personaggio Cohn-Bendit, il suo pensiero e la sua attività. E neppure tentare di ripercorrere quei mesi del ’68, tra eredità e macerie, in un’operazione di archivio e di memoria. L’obiettivo è compiere un viaggio insieme, una traversata appunto, per raccontare aspettative e problemi della Francia di oggi, a 50 anni di distanza dagli eventi cruciali di quell’anno di passione. Con sguardo rivolto al presente e al futuro piuttosto che al passato, Goupil e Cohn-Bendit toccano i punti “cardinali” del Paese. Dai cantieri navali di Saint-Nazaire in Bretagna, memori delle vecchie lotte sindacali. ai commissariati di polizia di Marsiglia, alle prese con le minacce del terrorismo e i problemi della sicurezza. Dai pescatori di sogliole del Finistère, ancora caparbiamente legati ai metodi antichi nonostante la rapacità dell’economia internazionale, ai centri rifugiati di Calais. Passando per l’esperienza dei pensionati, degli studenti e degli insegnanti, dei piccoli artigiani, dei musulmani, degli estremisti di destra.

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Goupil e Dani il rosso incontrano gente e discutono con tutti, con una disponibilità all’ascolto addirittura eccessiva in certi casi, salvo poi sbottare in una sfuriata improvvisa. Come durante l’imbarazzante cena con i simpatizzanti del Fronte Nazionale, che predicano il ritorno al famigerato e fantomatico Ordine dei bei tempi andati. Ma soprattutto i due “protagonisti” discutono tra loro, davanti e dietro la macchina, sugli obiettivi, i metodi, sul senso stesso di una pratica cinematografica on the road apparentemente senza progetto, tutta legata all’immediatezza passeggera del reportage. Ed il momento centrale è la discussione sull’intervista a Macron, su come la prospettiva della camera possa smontare la retorica dell’architettura del potere, lo spazio istituzionale dell’Eliseo. Salvo poi scoprire, nella dialettica di un terzo controcampo, che Macron è proprio lì, seduto al tavolo di un caffè qualsiasi. Sequenza interessante da un punto di vista teorico, pur se politicamente ambigua, che mostra come tutto stia a metà tra la riflessione sul mezzo e la boutade, tra la concentrazione e la leggerezza. Sempre, comunque, con l’obiettivo di mostrare il lato umano, le persone che stanno dietro le cose, il potere, le istituzioni, i problemi, le marginalità. E ovviamente, al centro c’è Daniel Cohn-Bendit, uomo di mezzo per diritto di nascita, europeista per costituzione che unisce dall’origine Francia e Germania. Del tutto consapevole del suo statuto di personaggio e delle modalità di autorappresentazione, come racconta bene il divertito e compiaciuto il progetto del suo funerale-spettacolo. Sotto la sua guida i grovigli non diventano mai progetto, mentre le questioni sfumano nella farraginosità dell’impianto di Goupil. Ma scorre tra le immagini una passione d’altri tempi. Per fortuna.

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