#Cannes2018 – Le monde est à toi, di Romain Gavras

L’opera seconda di Gavras è un’iperbolica sciarada liberissima e anticonformista. Quinzaine des realisateurs.

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Sono passati ben otto anni dalla sua opera prima e Romain Gavras torna dietro la macchina da presa con un titolo che è già tutto un programma: Le monde est à toi. Quasi un manifesto programmatico generazionale che è fondamentale per comprendere l’universo filmico e (post)etico della sua opera, composta in larga parte dai numerosi, potenti e controversi (per l’uso della violenza) videoclip musicali. E qui la musica – prevalentemente diegetica – svolge un ruolo preponderante, con inserti pop e hip hop che diventano spezzoni musical tra il romantico e il demenziale e intervallano una storia noir rocambolesca, liberissima per come attraversa i generi cinematografici.

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François è un francese di origini nordafricane che vuole aprire un brand chiamato Mr. Freeze ed esportarlo in Maghreb. Gli servono dei soldi che non ha. Complice una madre truffaldina, pittoresca e morbosa che ha sperperato i risparmi su cui lui contava per iniziare l’attività. Accetta così di fare l’intermediario per lo strafatto gangster del quartiere e di andare in Spagna per concludere un affare di droga. Lo accompagna nella missione la giovane Lamya, di cui è innamorato, e l’amico Henri, appena uscito di prigione ed ossessionato dalle teorie complottiste e massoniche sugli Illuminati. Presto le cose prendono una brutta piega e a François servirà il ritorno in scena della madre.

Sembra un film scritto, girato e masticato come un chewing gum Le monde est à toi. Ed è una fortuna. Perchè ha l’irriverenza, la freschezza e l’orizzontalità delle giovani generazioni, di cui riesce a intercettare gusti e linguaggi. La fotografia luminosa e iperrealista di André Kemetoff dà forma a una sceneggiatura iperbolica che affastella gag spassosissime e personaggi memorabili. E Gavras ha anche il merito di reinventare con ironia due icone del cinema francese come Vincent Cassell e Isabelle Adjani, quest’ultima, con parrucca ed enormi occhiali da sole per quasi tutto il film, sembra quasi la rielaborazione esplicitamente kitsch di una femme fatale degli anni 70. Le immagini e i dialoghi scorrono via velocissimi e lasciano il segno impalpabile di un’epoca digitale dove tutto si consuma in un attimo. Ma questa è anche un’opera cosmopolita e decisamente politica, che tra un divertissment e l’altro dice molto su un mondo dove il denaro come merce di scambio è l’unico valore riconosciuto e la negoziazione la forma privilegiata di comunicazione.

 

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