#Cannes2018 – Manbiki Kazoku (Shoplifters), di Hirokazu Kore-eda

Sembra di non essere mai usciti dal cinema di Kore-eda. Ennesimo sublime esempio di un’etica della forma che diventa “naturalmente” riflessione umanista sul presente, sulla famiglia, sui rapporti

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Camminando, camminando… sembra di non essere mai usciti dal cinema di Hirokazu Kore-eda. Le sue immagini, i suoi personaggi, le sue piccole (ma significative) variazioni sul tema (della vita), rendono i suoi film un prezioso spazio intermedio posto tra il sentimento privato e la necessaria condivisione dello stesso. Manbiki Kazoku ci appare la coerentissima prosecuzione di un discorso che mette sempre più al centro la famiglia (in tempesta) come interfaccia privilegiata per dare forma alle grandi questioni esistenziali del singolo (nel XXI secolo). Inutile ribadirlo: il solco è quello tracciato dal maestro Yasujirō Ozu, dalla purezza di quello sguardo sul mondo, insomma da un’etica della forma che diventi naturalmente riflessione umanista sul presente. E allora: quando incontriamo Osamu e Shota in un supermercato – nella stupenda prima sequenza che riecheggia stilemi da film muto con le tecniche del furtarello tramandate dall’uomo al bambino a ritmo di sguardi e complicità istantanea – non abbiamo il minimo dubbio: quei due sono un padre e un figlio. Like Father, Like Son. Perché sono i raccordi oltre le parole, oltre la legge e oltre il cinema stesso a determinare un’identità indiscussa e indiscutibile.

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Osamu e Shota tornano a casa. Ad aspettarli ci sono una moglie, una giovane cognata, un’anziana nonna… quindi una famiglia? Sembrerebbe. Queste persone comuni sopravvivono ai margini della società, tra piccoli furti e lavori precari: l’operaio edile, l’impiegata in una lavanderia, la spogliarellista. Condividendo una povera abitazione abusiva – che uno strategico plongée dall’alto ci fa riconoscere come architettura tradizionale giapponese che resiste nelle nuove costruzioni urbane in stile occidentale – nell’immensa periferia di Tokyo. Il tempo della casa, pertanto, diventa il nostro film: i riti del cibo e i sorrisi insieme, i discorsi sul futuro e le effusioni fugaci, i rapporti creati e quelli messi in pericolo, insomma tutto ciò che il mondo lì fuori condensa come esperienza contingente diventa elaborazione sentimentale all’interno di quello spazio. E la vita scorre. Sino a quando Osamu trova per caso la piccola Yuri, una bambina fuggita dai violenti genitori e rannicchiata in un angolo di strada: il gruppo la accoglie, la cura, la coccola, diventando in pochi giorni una nuova sorellina. Insomma: un po’ per caso, un po’ per scelta, queste persone segnate da un doloroso passato si sono riconosciute assegnandosi dei ruoli e dei compiti al di là di ogni regola civile e di ogni convenzione sociale. Quindi sono una famiglia? Non importa…

…conta solo il singolo momento. Perché nel cinema di Kore-eda è il tempo dei sentimenti a costruire le trame, mai il contrario. Ciò che conta sono gli attimi di verità strappati allo schermo e donati a noi spettatori come resti che riconosceremo straordinariamente autentici nelle nostre vite: i fuochi d’artificio immaginati oltre la siepe e il mare (ri)scoperto negli occhi dei bambini; la carezza data a una madre mentre cura i tuoi demoni e la lacrima di uno sconosciuto che ti comprende in un abbraccio; il “grazie” sussurrato al vento prima di morire e lo sguardo affettuoso concesso a un padre inadeguato. Eccetera, eccetera. Perché tutte le altre trame le conosciamo già, sono lì, nel fuori campo della vita: la legge e la società, le crisi lavorative e l’economia domestica, le famiglie legittime e quelle sotterranee. Ossia ogni pesante variabile che si frappone ai sentimenti segnando la dolorosa “crescita”. Kore-eda condensa in pochi densissimi minuti tutti questi eventi esterni: gli interrogatori, le colpe passate, i processi, le separazioni… insomma c’è tanta imperfezione in quelle vite! Ma è proprio questo a renderle autentiche: il tentativo quotidiano di redimersi donando affetto incondizionato per diventare nonni, padri, madri, fratelli o figli nel tempo. A Kore-eda interessa solo la verità del sentimento presente, quello impossibile da definire senza sminuire, quello che chiameremo subito dopo “ricordo”. O forse “cinema”.

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