#Cannes2018 – Matteo Garrone racconta il suo Dogman

Il cineasta torna a Cannes per la quarta volta in concorso con il film ispirato alla storia del Canaro della Magliana. Parla della sua gestazione e dei riferimenti cinematografici. E torna a Pinocchio

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Dopo Alice Rohrwacher per Lazzaro felice è il turno di Matteo Garrone con il secondo titolo italiano in competizione. Il cineasta torna a Cannes in concorso con Dogman (in sala da oggi in 350 copie)  per la quarta volta in competizione dopo esserci stato con Gomorra (2008), Reality (2012) e Il racconto dei racconti (2015). Con i primi due ha vinto anche il Gran Premio della Giuria.

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Dogman è un progetto a cui il cineasta ha lavorato a lungo. È ispirato alla vicenda del Canaro della Magliana, ma il fatto di cronaca poi diventa solo lo spunto per una dimensione sospesa tra i generi. Tra questi c’è il western: “L’idea di trovare un luogo con queste atmosfere – sottolinea infatti Garrone – era centrale”.

Il cineasta poi racconta la gestazione: “Nella prima stesura, che risale a 13 anni fa, si doveva intitolare L’amico dell’uomo. Avevo proposto il ruolo a Roberto Benigni che però non l’ha voluto fare. Però c’era già l’idea di immaginare il protagonista contaminato con degli elementi comici. Con rimandi al cinema muto, specialmente Buster Keaton. Ci sono stati diversi trattamenti nella sceneggiatura. Però poi il film ha preso una direzione inaspettata rispetto l’ultima versione. Quindi in una direzione diversa rispetto al fatto di cronaca; qui infatti sono assenti aspetti sanguinolenti o da horror”.

Sul finale: “Come l’abbiamo sviluppato è la cosa che mi piace di più. Inizialmente c’erano dei residui del fatto di cronaca che poi sono spariti. Marcello resta umano fino alla fine. In Dogman ci sono delle cose che rimandano ad altri film, con un uomo tranquillo che improvvisamente si trasforma come in Cane di paglia e Un borghese piccolo piccolo. Però con i due protagonisti ho cercato di trovare una strada meno battuta e più personale”.

Dopo Marco Onorato e Peter Suschitzky, Dogman segna la prima collaborazione tra il regista e il direttore della fotografia Nikolaj Bruel: “È il primo film che facciamo insieme anche se avevamo già collaborato con dei lavori pubblicitari. Abbiamo cercato un approccio realistico ma che possedesse anche una certa astrazione. Con un’attenzione ai colori, alle atmosfere. Una fotografia certamente bella, ma non patinata”. E sui riferimenti pittorici: “C’è Hopper anche se mi porto dietro sempre Caravaggio”.

Sui luoghi: “L’ho ambientato a Villaggio Coppola, dove ci ho girato L’imbalsamatore e parte di Gomorra. Non ho mai avuto intenzione di girarlo alla Magliana. Mi interessava un luogo con una sospensione metafisica, di frontiera. Dove mi sento a casa”.

Poi chiude con Pinocchio: “Ci sto continuando a lavorare anche se sembra un progetto impossibile. Ma lui c’è sempre nei miei film”.

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