#Cannes2018 – À genoux les gars, di Antoine Desroiriès

Il bullismo, il ricatto dei social network, la compulsione sessuale e pornografica dell’adolescenza in un film francese interessante ma non pienamente riuscito. Un certain regard.

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Che cos’è À genoux les gars? Una commedia, un film drammatico o un documento sincero e realistico sulla sessualità dei giovani francesi di origine araba? Già da questa serie di domande emergono tutte le potenzialità e la confusione di un film interessante, ma non pienamente riuscito. L’operazione è portata a termine dal quarantasettenne Antoine Desroiriès con l’aiuto determinante della sceneggiatrice Anne-Sophie Nanki, già sua collaboratrice nel precedente Haramiste, e fondamentale nel dare la giusta prospettiva femminile alla storia. La protagonista è infatti Yasmina, una sedicenne che durante l’assenza della sorella Rim si ritrova una sera a uscire con Salim e Majid. Convinta dai due, la ragazza finisce in un parcheggio e compie un atto sessuale di cui quasi immediatamente si pente. Quando scopre che uno dei due amici ha un video dell’accaduto con cui intende ricattarla, per Yasmina inizia un piccolo incubo.

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La qualità del film è quella di affrontare argomenti molto attuali quali il bullismo, il ricatto dei social network, la compulsione sessuale e pornografica dell’adolescenza. Lo fa eliminando quasi completamente uno sguardo moralistico o adulto – i genitori sono presenti solo in una scena – e affidandosi soprattutto alle dinamiche e ai conflitti dei quattro personaggi. Si confrontano la visione maschilista di Salim e Majid, con quella più complessa (ma non debole) delle due sorelle, tra cui emerge la Yasmina interpretata da Souad Arsane, che porta sulle spalle la materia dell’intero film. Emerge a più riprese l’ombra programmatica del metodo Kechiche, con l’insistenza su dialoghi lunghi, che hanno i paradigmi dell’improvvisazione e di una spontaneità esibita. Questo oggi sembra uno dei criteri privilegiati dai cineasti francesi di raccontare la giovinezza. Desroiriès cerca anche di aggiungerci una dimensione pop, scandita da intermezzi musicali sulla città e da una finale concessione all’animazione e alla rappresentazione del sesso, relegato al fuori campo per tutto il resto del film. Di questo racconto dalla tematica così esplosiva, manca però un po’ di anima. Si parla molto, si litiga, c’è la vendetta e c’è il sorriso. Eppure la sensazione è che non ci si fa mai male veramente. E anche l’energia che arriva sembra farlo in ritardo rispetto alla scrittura. Forse aver lasciato fuori la carne e il corpo ha contribuito a una meccanicità del racconto in cui il metodo finisce con l’offuscare i personaggi e il loro mondo.

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