#Cannes2018 – Stefano Savona presenta Samouni Road alla Quinzaine

Il regista racconta il documentario girato sulla striscia di Gaza nel 2009-2010, tra rievocazione orale, ricostruzione del dispositivo del drone in CGI, e sequenze animate firmate da Simone Massi

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La sala dell’hotel Marriott accoglie con un lunghissimo e commosso applauso l’arrivo sul palco di Stefano Savona in coda alla proiezione di Samouni Road, il suo documentario girato sulla striscia di Gaza, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs 2018: un lavoro complesso che segue i giovani sopravvissuti della famiglia Samouni mentre cercano di andare avanti dopo un terribile raid israeliano che nel 2009 ha decimato i componenti del nucleo familiare, soprattutto i più adulti. Abbiamo capito da subito che la formula del racconto aneddotico avrebbe potuto essere la strada più efficace per raggiungere la distanza più giusta in confronto alla materia, racconta Savona. E in effetti i ragazzi Samouni non riescono proprio a scardinare le loro memorie e i loro racconti dagli istanti di terrore e distruzione di quei giorni di bombardamenti ed esecuzioni sommarie: ricordi che Savona restituisce attraverso le animazioni di Simone Massi. Ci siamo presi il nostro tempo per questo film, spiega il regista, aiutati in qualche modo anche dal fatto che la ricerca dei finanziamenti era di fatto portata avanti in progress, durante tutta la lavorazione, allungando il lavoro. Ho scoperto la storia dei Samouni nel 2009 mentre stavo finendo a Gaza un altro lavoro, ho girato il film un anno dopo, nel 2010, e la parte più lunga è stata poi la postproduzione, aggiungere le sequenze animate (che all’inizio avrei voluto tanto realizzare sul posto, a Gaza), e le ricostruzioni CGI delle videoregistrazioni del drone, create da Stefano La Rosa.
L’espediente dell’occhio del drone che segue e “comanda” le esplosioni e i colpi degli sniper è forse l’inserto più potente e sconquassante dell’opera, anche perché non tutta la sala dà l’impressione di avere coscienza che si tratti di una ricostruzione, e non del footage effettivo: il ricorso al nuovo canone ad infrarossi della sorveglianza dall’alto che oramai il nostro occhio è abituato a riconoscere, strutturato fedelmente secondo gli atti di un’inchiesta interna all’armata israeliana che ha indagato sul fatto. E’ forse quasi più importante riuscire a mostrare questo film in Israele che a Gaza, commenta Savona, e infatti abbiamo anche tentato di avere dei finanziamenti israeliani, per Samouni Road. Questo per dire che non cerco mai una posizione di neutralità, ma di assoluta sincerità.
Il regista amerebbe continuare il lavoro con i Samouni, con cui è rimasto in contatto, e poter tornare a girare a Gaza, ma entrare sulla striscia appare oggi molto più complesso di 10 anni fa. Eppure è importante riportare il discorso sul lato della connessione umana, conclude Savona: il mio film racconta anche di come oggi il nemico sia del tutto disumanizzato, un drone senza volto o soldati mascherati, di fatto a Gaza non esiste alcun reale contatto con questo “nemico” che si trova in realtà proprio lì di fronte. 

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