#Cannes2019 – Frankie, di Ira Sachs

Guarda a molto cinema francese ma ci mette un po’ a mettersi in moto. Poi cresce quando esce fuori dal suo impianto teatrale e il suo look elegantino. Concorso

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Da New York a Sintra, in Portogallo. Dove Ira Sachs si porta dietro uno dei personaggi principali e il protagonista degli ultimi suoi due film: Marisa Tomei da Love Is Strange e Greg Kinnear da Little Men. Forse già figure fondamentali di un suo metacinema: la prima infatti lavora sul set come parrucchiera e l’altro invece è stato operatore della 2º unità di Star Wars. Tutta la macchina del set all’aperto. In un film corale, con 9 personaggi che ruotano attorno a Frankie, una celebre attrice francese che è gravemente malata e decide di passare le sue ultime vacanze con le persone a cui è più affezionata.

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Il cinema statunitense che guarda quello francese. A partire dalla protagonista, Isabelle Huppert. Quasi in un backstage del testo. Dove però viene sovrastata dall’impeto emozionante di Marisa Tomei. Sembra di stare dalle parti di Baumbach, che non a caso viene citato. Però è nel lavoro sul paesaggio (le montagne, la nebbia, il mare) dove Sachs cerca di trovare un’immediata relazione, quasi fisica, tra i personaggi e l’ambiente. Frankie ci mette un po’ a mettersi in moto. Però, rispetto alle opere precedenti del regista (Love Is Strange in particolare) cerca di uscire progressivamente dall’impianto teatrale che lo segna. Tutta la presentazione dei singoli personaggi appare piuttosto statica. Quasi ad esibire il testo. In un film forse anche troppo dialogato. Dalle traiettorie ben precise dove c’è spesso qualcuno che guarda qualcun altro. Frankie vede dall’alto il marito con l’amica. E sono a loro volta visti col binocolo dall’ex-marito E sono a loro volta visti. I personaggi entrano ed escono dalla scena. Per presentarsi, parlare, scomparire e poi ricomparire. Nel primo incontro tra Ilene (Marisa Tomei) con Jimmy (Brendan Gleeson) e Michel (Pascal Greggory), rispettivamente attuale ed primo marito della protagonista, sembra comparire il fantasma di Rohmer che ritornerà più volte. Anche in uno dei frammenti più nascosti e vivi del film, quello dei due adolescenti che stanno camminando sulla spiaggia. E il lavoro sulla luce che fa Sachs con il suo direttore della fotografia Rui Poças rimanda direttamente a quello di Rohmer con Almendros in Pauline à la plage. Infatti Frankie cresce quando inizia ad uscire fuori dal suo look elegantino. Con un primo tentativo mezzo riuscito con la protagonista coinvolta in una festa di compleanno. E poi con lo scontro di Frankie con il figlio mentre camminano. Si sentono di meno le ingombranti parole. E, anche se il cinema Sachs è e resta freddo, si avverte l’ombra della morte e la necessità di catturare gli ultimi momenti. Con un campo lungo finale che forse è l’essenza dell’ultimo desiderio.

 

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