#Cannes2019 – Les plus belles années d’une vie, di Claude Lelouch
Terzo ritorno sulla vita dei Jean-Louis e Anne. Cinquantatré anni dopo il film più famoso di Lelouch. Che va a tutta velocità per sorpassare il tempo che resta. Fuori concorso
Nel cinema francese alcuni film non finiscono mai. Vanno oltre i sequel. Perché sono figure che continuano a vivere nell’opera di un cineasta. Jean-Louis e Anne sono vissuti in molto cinema di Lelouch. Anche se non c’erano Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée. Le musiche di Francis Lai. La strada. La memoria. Tutti i detour incontrollati di una passionalità irrefrenabile. E proprio per questo ancora più lacerante.
Cinquantatré anni dopo. L’ex-pilota di rally si trova in una casa di riposo. Sembra aver perso la memoria. Sui figlio Antoine va a cercare Anne per risvegliare nel padre quella storia che non è mai finita.
Tra ricordi e immaginazione. Scorrono alcuni flash indimenticabili di Un uomo, una donna. La scena a letto nell’albergo di Deauville. Stanza 26. Ma anche quella corsa in macchina per Parigi alle sei di mattina di C’etait un rendez vous (Un appuntamento), il cortometraggio del 1976 riproposto quasi integralmente. Dove non c’è sosta. Neanche davanti ai semafori. La memoria si riattiva attraverso lo zoom iniziale sugli occhi di Trintignant. Prima l’assenza. Poi, come nel vocabolario del cineasta francese, ‘tutta una vita’. Dove la sua mentre resta all’inizio impermeabile a tutta una seie di domande fatte ai pazienti. L’anno della morte di Picasso, delle elezioni di Mitterand, della caduta delle Torri Gemelle. Ma da brividi è il momento in cui Jean-Louis e Anne si rivedono. “Buongiorno, posso sedermi qui?”. “Ho sempre adorato le donne”. Dove l’uomo riconosce la donna senza averla in realtà riconosciuta. Ma attiva nella sua testa altre fughe con lei. Immaginarie. I desideri di quello che non sono riusciti a fare insieme. Perché, come dice la citazione di Victor Hugo sui titoli di testa: “I migliori anni di una vita sono quelli che non si sono ancora vissuti”. Quindi la multa per eccesso di velocità con Jean-Louis che corregge l’agente di polizia in una delle battute più belle del film. “Stava andando a 93 km/h” – “No, a più di 100 all’ora”. E poi i due protagonisti improvvisati killer. Con le pistole. Oppure pronti per un selfie. Guardando forse l’anima social di Agnès Varda.
Una foto. Una canzone. Forse si sta diventando vecchi tromboni. O forse lo si è sempre stati senza ancora saperlo. Ma a tratti Les plus belles années d’une vie è insostenibile. Perchè è impossibile separare il cinema dalla vita. E Trintignant e la Aimée dai loro personaggi. Hanno lasciato ogni respiro. Anche quel modo della donna di toccarsi i capelli che risveglia tutti i ricordi. E il cinema entra in gioco nelle parole di Antoine, il figlio di Jean-Louis. Quando afferma che Ladri di biciclette di De Sica è il film che ha inventato la Nouvelle Vague. E nella nuova vita entrano in gioco altri frammenti di un sentimentalismo incontrolato. Che forse in certi momenti deraglia quando mostra la complicità dei figli della coppia che non si vedevano da quando erano bambini. Ma al tempo stesso regala un altro indimenticabile momento in puro stile Lelouch. Jean-Louis con la figlia. Con il volto di Monica Bellucci. Gli occhi sono lucidi. E lei accenna al motivo di Ti amo di Umberto Tozzi. Poi un’altra corsa. A tutta velocità. Bisogna sorpassare il tempo che ci resta. Si, ha ragione Victor Hugo: gli anni migliori sono quelli che non si sono ancora vissuti.