#Cannes2019 – Mektoub, My Love: Intermezzo. Incontro con Abdellatif Kechiche

“Non voglio spiegare il film. Non posso spiegare tutto. Non sarebbe interessante”: la Croisette s’infiamma con l'”Intermezzo” della trilogia di Abdellatif Kechiche, accompagnato da non poche polemiche

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In una proiezione che ha subito suscitato un certo clamore, è stato presentato Mektoub, My Love: Intermezzo, il secondo atto (l'”intermezzo” appunto) della trilogia firmata da Abdellatif Kechiche, tratta dal romanzo di François Bégaudeau (La Blessure, la vraie). La storia d’amore tra Amin (Shaïn Boumédine) e Ophélie (Ophélie Bau) ritorna, quindi, in questo “sequel” di Mektoub, My Love:Canto Uno, presentato al Festival di Venezia del 2017. Kechiche e il giovane cast (oltre al protagonista maschile, presenti Meleinda Elasfour, Marie Bernard, Lou Luttiau, Hafsia Herzi, Dany Martial e Salim Kechiouche) hanno incontrato la stampa, in una conferenza decisamente attesa viste le chiacchierate reazioni del pubblico, che per esprimere il proprio dissenso di fronte ad alcune scene di sesso esplicito hanno abbandonato la sala ben prima del termine della proiezione. Polemiche non nuove per il regista del discusso La Vita di Adele, premiato però con la Palma d’Oro nell’edizione del 2013.

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Una conferenza stampa, quasi di riflesso, dominata dal nervosismo e monopolizzata dallo scontro tra Kechiche a alcuni giornalisti. Giusto per chiarire gli intenti bellici, il regista franco-tunisino esordisce prendendosela subito con un giornalista, reo di averlo fotografato col flash attivo. Solo il principio di un incontro che lo ha visto spesso incalzato dalle domande “scomode” della stampa sui temi più caldi dibattuti dai media. Si inizia subito con la “fuga” degli spettatori, allora, che però non sembra preoccupare l’autore: “Non tutti sono aperti a provare nuove esperienze, a condividerle con gli altri, non a tutti semplicemente piace questo tipo di film. Non volevo piacere a tutti, sarebbe stato un disastro se invece tutti avessero visto il film allo stesso modo“. Lo scontro probabilmente più acceso si registra invece con chi gli domanda dell’accusa di molestie sessuali, fattagli da un’anonima attrice di 29 anni, che hanno preceduto l’uscita del film: “penso che la tua domanda sia stupida e molto inadeguata per un film festival. Noi siamo qui per celebrare e festeggiare il cinema“. Infine, l’ultima parte dell’incontro è occupata dall’argomento riguardante l’eccessiva durata, per alcuni, del film (3 ore e mezza, e non le 4 di cui si vociferava inizialmente, NDR): “non mi sono mai preoccupato della lunghezza del film, ho fatto il film nel modo che mi veniva, in totale libertà“. Chiuderà poi quasi scusandosi per le alcune sue risposte secche e infastidite, perché, a suo dire: discutere di un film dovrebbe andare oltre che parlare della sua lunghezza“.

Quando, infatti, Kechiche si illumina è quando gli si chiede delle sue intenzioni artistiche, dietro la realizzazione Mektoub, My Love: Intermezzo, il quale riassume così il suo personale “esperimento estetico“: “era importante per me celebrare la vita, l’amore, il desiderio, la musica, il corpo. Io volevo far provare un’esperienza cinematografica più libera possibile. Volevo fare qualcosa di differente, volevo sperimentare altre forme narrative, volevo rompere le regole della storia del cinema“. L’arte al centro di tutto, quindi, nelle sue forme più svariate: “nel film ci sono un sacco di storie, un sacco di personaggi. Ho provato a mostrare i diversi punti di vista di un artista, di un poeta, di un fotografo, che hanno differenti fonti d’ispirazione, differenti modelli“.
A proposito di fonti, a domanda diretta, Kechiche scevra i riferimenti artistici a cui lui stesso si è ispirato, che in realtà non sono altri cineasti, bensì: “la pittura espressionista, i colori di Picasso, l’impressionismo e il cubismo nelle scene in discoteca […] la scultura. Ci sono tanti modi differenti di filmare un corpo. Io ho provato a filmarli come se ammirassi delle sculture, dal basso, in una passeggiata per Parigi“. Il corpo quindi guida l’occhio della macchina di presa e, si augura il regista, dello spettatore: “c’è qualcosa di misterioso, di affascinante, nel corpo. Quello che ho provato a descrivere è quel momento, durante la danza, in cui accade e si prova qualcosa di eccezionale, di magico, di metafisico“.

E naturalmente la sua attenzione è tutta sui “proprietari” di quei corpi, i giovani interpreti sulla cui bravura e sul cui talento ritorna più volte, specie in risposta alle polemiche degli interlocutori, sottilmente invitati al rispetto verso tutti quelli che hanno lavorato alla pellicola: “non ho scelto queste persone per l’aspetto, ma per la loro energia, la loro forza interiore […] il loro grande talento. Non tutti sono riusciti a vederlo. Volevo rinnovare il cinema con questi potenti personaggi, che non hanno paura di oltrepassare il limite. […] Sono i miei attori e attrici a fare il film, insieme ai membri della troupe, veramente pazienti. Tutti, dal direttore della fotografia, Marco Graziaplena, al montatore, volevano fare qualcosa di diverso“.
Non voglio spiegare il film. Non posso spiegare tutto. Non sarebbe interessante, dichiara il regista in chiusura dell’incontro, e chissà se non sia stato questo clima sfavorevole a portarlo ad annunciare che se Intermezzo è stato un “esercizio di filmmaking”, l’approccio all’ultimo atto della trilogia, Mektoub, My Love: Canto Due, sarà invece “accademico“. Provocazione o meno, probabilmente ci si augura che la prossima volta gli spettatori rimangano almeno fino alla fine.

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