#Cannes68 – A Perfect Day, di Fernando León de Aranoa
Presentato in Quinzaine des Réalisateurs il nuovo film di Fernando León de Aranoa. A Perfect Day è un bell’ibrido tra commedia e war movie, configura “piccole conquiste” nel nero della Storia
Da qualche parte, nella penisola Balcanica, nel 1995. Inizia così, subito dopo l’inferno della guerra, questo strano ibrido di cinema civile e war comedy, nuovo film del mai banale cineasta spagnolo Fernando León de Aranoa. I quattro protagonisti sono un eterogeneo gruppo di operatori umanitari che si trovano di fronte una situazione a dir poco complessa (politicamente e sanitariamente), chiamati in un piccolo villaggio per “ripulire” l’unico pozzo d’acqua disponibile da un cadavere che ne mette a repentaglio l’utilizzabilità. Serve una corda per tirarlo su. Ma come trovare una cosa così semplice in una zona di guerra? Ecco, il film configura la lenta esplorazione di uno spazio vuoto, di una zona franca della morale: “è la guerra” si dice spesso, ma la “guerra è finita” ribatte Mambrù (un ottimo Benicio del Toro). Rimangono le macerie e gli abissi morali, allora, rimane la morte che aleggia nell’aria e nel fuori campo, mentre al vecchio B. (straordinario Tim Robbins) non rimane che opporre una bonaria e irresistibile ironia per sopravvivere a tutto questo. Una commedia mascherata da war movie, allora, o il contrario?
Aranoa si dimostra innanzitutto uno straordinario sceneggiatore. Non vuole fare lezioni di etica filmica o occuparsi dei massimi sistemi della politica europea, gli interessa solo instradarci nella tragedia di un popolo reduce da un devastante conflitto interno (quanto è ancora attuale, in epoca di crisi libica, la gestione del dramma balcanico?) facendoci viaggiare con quattro operatori che piangono e sorridono, amano e soffrono, si sfottono e vivono lì sul “campo”. Le dinamiche di gruppo evocano la Storia senza mai sottolinearne le ridondanze, perché sono sempre i piccoli dettagli a fare la differenza. Questo è un ottimo film corale intessuto da una miriade di sottotrame lasciate in potenza (dinamica post-altmaniana abbastanza usuale per il regista de I lunedì al sole), capace ad esempio di raccontare la vicenda di un ragazzino orfano senza mai cedere all’inutile estetica del pietismo ricattatorio come nel detestabile The Search di Hazanavicius.
L’amore contrastato tra Mambrù e Katya (Olga Kurylenko), il giovanile idealismo di Sophie (Malanie Thierry) e quello “levigato” dal tempo del disilluso B., qui ci sono sempre e solo persone che incontrano persone. Piccole conquiste nel nero della Storia. Insomma ciò che colpisce è il tempo che Aranoa dedica a questi personaggi, colpisce il modo in cui ognuno dei quattro attori esprima lentamente la propria umanità, in un mondo sempre più alla deriva dove solo il cinema (meravigliosa la citazione finale da Mel Brooks…) può sistemare giocosamente le cose. Almeno per un giorno.