#Cannes68 – Las Elegidas, di David Pablos

Una durissima storia di prostituzione minorile in Un Certain Regard, dove ogni tentazione spettacolare del regista viene sedata a vantaggio di un occhio quasi antropologico sulla durissima vicenda

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Las Elegidas è un film coraggioso. Ambientato a Tijuana, il confine fisico e immaginario per eccellenza, quello tra il Messico (Terra di frontiera) e il sogno americano (Terra di emigrazione). Una durissima storia di prostituzione minorile, questa, dove ogni tentazione spettacolare del regista viene sedata a vantaggio di un occhio quasi antropologico su come certe organizzazioni familiari operano e procacciano le loro povere prede. Ma questa è innanzitutto la storia di tre giovani ragazzi costretti a vivere in un mondo che stupra costantemente i loro sogni: Ulises è il figlio adolescente del capo dell’organizzazione, costretto a far innamorare le ragazzine sue coetanee per poi consegnarle allo spietato padre e confinarle in un residence del sesso. Sophia è una quattordicenne di umili origini che improvvisamente scatena un amore sincero in Ulises (molto belle le prime sequenze del film, quasi oniriche e sospese, quando ancora l’orrore non si è frapposto tra i due) e lo fa interrogare sull’abisso morale in cui cresce mettendolo automaticamente contro la propria famiglia. Infine è la storia di Martha, altra giovane ragazza caduta nella rete di Ulises e trattata come merce di scambio in questo mondo privato di ogni quesito morale o empatia umana.

Un film molto coraggioso si diceva. Come un ideale controcampo di Whore’s Glory di Glawogger, Pablos si occupa di capire come si arriva in quelle “zone”. Film che racconta una storia di una gravità lacerante, smascherando abominevoli realtà che il cinema ha il dovere di indagare e combattere con l’eco che un festival come Cannes può garantire. Ma questo (come spesso accade per il cinema così intimamente “civile”) è anche un film un po’ troppo dominato dal suo nobilissimo intento, troppo pensato e terribilmente razionale nel suo perfetto incedere, che purtroppo non ha la necessaria potenza filmica per far esplodere in immagine la delicatissima materia che tratta. Insomma se il regista dimostra una certosina concentrazione sui dettagli da raccontare, finisce poi per penalizzare il lato puramente cinematografico (quindi emotivo) di tutto questo ribollente materiale. Se si dimostra acuto nel confinare il commercio del sesso in un perturbante sonoro che erompe dal volto sempre più segnato della giovane Sophia, non riesce però a colpirci allo stomaco con il suo dramma privato e umano. Siamo dalle parti di un Brillante Mendoza prima maniera qui, ma in quel caso era proprio la sgrammaticata e istintiva concezione di “regia” che assecondava la materia di partenza. Insomma questo è un film ottimamente recitato che l’indubbio talento di Pablos, però, avrebbe potuto trasformare in un grande film. Peccato.

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