#Cannes75 – Incontro con George Miller e il cast di Three Thousand Years of Longing

Il regista australiano, insieme a Tilda Swinton e Idris Elba, ha raccontato alla stampa l’origine e il significato del suo fantasy allegorico, presentato Fuori Concorso al 75º Festival di Cannes

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In occasione della presentazione Fuori Concorso di Three Thousand Years of Longing al 75º Festival di Cannes, George Miller, Tilda Swinton e Idris Elba hanno incontrato la stampa per discutere del loro nuovo film, un tributo sincero al potere allegorico delle storie e alla funzione del fantasy come strumento di conoscenza del presente.

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Proprio sulla relazione tra finzione narrativa e realtà si è concentrato il focus dell’incontro. “Tutte le storie sono per me allegoriche” risponde così George Miller, interrogato sulla motivazione per cui ha voluto presentare Three Thousand Years of Longing come un’allegoria fantasy dei tempi presenti “e da questo punto di vista, i racconti fantasy sono sempre aperti all’interpretazione, dal momento che radicano le loro strutture iconografiche in una realtà contestuale, che è incontrovertibilmente reale. E noi, in quanto spettatori/lettori, vogliamo che queste storie ci trasportino in una dimensione altra, che abbia delle referenze con la nostra realtà”. Un procedimento estetico profondamente realistico, che per il regista può funzionare solamente se poggia sul supporto di un cast un cast credibile e magnetico. “Per rendere davvero coerente un racconto propriamente fantastico, avevo bisogno di attori che restituissero profondità e credibilità a questi personaggi di finzione” prosegue il cineasta “con Tilda e Idris che in questi termini si sono rivelati delle scelte perfette. Se, ad esempio, non avessi incontrato Idris, non avrei avuto idea di chi poteva davvero dare corpo all’immagine che avevo di Gene, restituendola inoltre in maniera così forte ed autentica”.

Riguardo la necessità di raccontare una storia intima e allo stesso tempo ambiziosa, Tilda Swinton si è invece soffermata sull’importanza di vedere Three Thousand Years of Longing sul grande schermo. “In realtà sono portata a prediligere la sala in tutti i casi” afferma l’attrice “ma per un’opera come quella di George, che attraversa millenni di Storia mediante una moltiplicazione di racconti, il grande schermo diventa l’unico strumento di concretizzazione dei suoi significati, in vista di una loro declinazione realistica. Quel che ne emerge è una spazialità sincronica che consente al performer di trovare intimità nei meandri di una storia così allegorica e immersiva”. Un punto di vista propriamente perfomativo, a cui si collega anche l’approccio al personaggio di Idris Elba. “Per immergermi in un racconto che fa della multi-dimensionalità spaziale il suo centro narrativo” afferma l’attore inglese “ho sentito la necessità di iniziare a lavorare su due aspetti. Per prima cosa, ho chiesto a George se fosse possibile esplorare di più la backstory del Genio, in modo tale da poterla inserire nel film sotto forma di storia favolistica. Definito questo aspetto, e solo dopo esser giunti alla configurazione del personaggio e del contesto diegetico, ecco che il film ha richiesto a me, in quanto performer, un’amplificazione immediata di tutto il mio spettro emotivo, necessaria per calare il personaggio negli innumerevoli scenari, luoghi e ambientazioni inter-temporali in cui fa continuamente ʻviaggiareʼ le sue parole”.

In coda alla conferenza stampa, il discorso si muove nuovamente sulla configurazione fantastica del film, e su come la contaminazione di realtà e fantasia possa diventare qui il veicolo di collegamento imprescindibile tra epoche diverse. Secondo cioè quell’approccio che Miller non solo declina come base essenziale di Three Thousand Years of Longing, ma di tutte le storie a tinte fantastiche. “Le continue divagazioni nelle culture del passato, come quella greca, romana o norrena, portano con sé un sostrato di verità che rende le storie appaganti e reali anche nella temporalità presente, permettendo per tutti noi una loro preservazione culturale” afferma in merito il cineasta australiano. “È per questo che i racconti allegorico-fantastici di oggi potranno essere compresi nella loro complessità anche tra 20, 30 o 40 anni. Perché, in fin dei conti, le storie che raccontano sono sempre le stesse. A cambiare è semplicemente il contesto culturale in cui si diffondono. Un processo che abbiamo voluto raccontare con il nostro film”.

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