#Cannes78 – Dietro la maschera
Gioisce il cinema italiano, tra Concorso e Un Certain Regard. I titoli attesi ci sono, ma a rianimare la kermesse è il divo per eccellenza Tom Cruise. D’altronde, è una questione di fiducia

Ieri Thierry Frémaux, il Delegato Generale del Festival di Cannes, ha annunciato ufficialmente il programma completo della 78° edizione.
Al di là della doverosa Palma d’Oro onoraria a Robert De Niro, Cannes 78 non ha alcuna intenzione di deludere, né tantomeno di “farsi” chiacchierata. L’approccio del festival è il medesimo di sempre, estraneo a qualsiasi potenziale polemica e controversia e centrato unicamente su scelte cinematografiche tutto sommato convenzionali.. Di certo sembra essere rimasto molto poco dello spirito di un tempo. Quello rischioso per davvero e al tempo stesso ambizioso, con uno sguardo ai grandi titoli – di genere e non – e al circuito low budget fino al midollo, altra cosa rispetto al tanto celebrato e applaudito “nuovo cinema indipendente”. Lo sfarzo di Cannes si è perduto, mutando in una kermesse curiosamente morigerata? La risposta come spesso accade, si colloca nel mezzo.
Mettendo da parte nostalgia e ormai usuale presa di coscienza rispetto ad un festival che non intende affatto osare, gioisce il cinema italiano rappresentato in questo caso da tre nomi. Sono pochi? Questo è sicuro, ma se ne discuterà in un secondo momento. Ad oggi rivolgiamo un meritato plauso a Mario Martone, in concorso con il suo ultimo lungometraggio Fuori, interpretato dal trio di dive Golino, Elodie e De Angelis. Seguito dal western Testa o croce? il secondo e atteso lungometraggio da registi del curioso duo Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, ancora una volta dietro la macchina da presa dopo l’esperienza anomala e incredibilmente poco celebrata di Re Granchio. Ultimo ma non per importanza Le città di pianura di Francesco Sossai.
A confondere realmente le carte del concorso, un tris di nomi particolarmente attesi: Joachim Trier con Sentimental Value, Ari Aster con Eddington e Julia Ducournau con Alpha. I tre grandi ritorni: il primo al dramma esistenziale e gli altri due all’horror, rivisitato questo è certo, secondo linguistiche ed estetiche del tutto personali e ormai immediatamente riconoscibili. Tutt’attorno i “soliti” visitatori, tra i quali Panahi (In Simple Accident), Reichardt (The Mastermind), i Dardenne (Young Mothers) e Oliver Hermanus (The History of Sound). In termini di “potenziali rischi”, ma ancora una volta estranei all’ambizione di un tempo, la sezione Un Certain Regard offre tanto l’esordio registico di Scarlett Johansson, Eleanor the Great, ancora una volta cinema di elogio alla senilità interpretato dalla June Squibb di Thelma, quanto Urchin, il debutto alla regia di una delle star più chiacchierate del momento, Harris Dickinson.
Come giusto però, non sono i titoli appartenenti al prevedibilmente celebrato e atteso “cinema d’impegno” a rianimare in senso stretto e letterale il sobrio programma di Cannes 78, bensì il blockbuster dell’anno, Mission: Impossible – The Final Reckoning, di Christopher McQuarrie ed è il caso di dirlo, Tom Cruise. Il messaggio è chiaro, soltanto Ethan Hunt poteva farsi carico di una tale impresa. Rianimare Cannes, risvegliare dal torpore e rivolgere – o proporre – agli assidui frequentatori, tanto un grido d’aiuto, quanto un doveroso consiglio: il cinema non è soltanto d’impegno, la cinefilia è sempre più larga, proprio come i blockbuster che conduciamo fino a qui. Questa è la missione della saga. Questa è la missione di The Final Reckoning. D’altronde è il trailer definitivo, pubblicato appena qualche giorno fa a sottolinearlo: “Devi fidarti di me un’ultima volta”. Cannes si è fidata. Giustamente.