"Captivity", di Roland Joffè

Cosa pensare veramente di un film come Captivity? Stravolto dalle troppe traversie produttive, rimane un oggetto che non va da nessuna parte. Derivativo, incoerente, a tratti persino noioso nella sua breve durata: un pasticcio dalla cattiveria gratuita e dagli intenti incomprensibili.

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Difficile assumere una linea di pensiero precisa nei confronti di questo Captivity, tante e tali sono state le traversie produttive da esso subite: data di uscita americana rimandata di continuo, intere sequenze rigirate ex novo, proiezioni test dagli esiti alquanto disastrosi, finali alternativi scelti all’ultimo momento (in Spagna, ad esempio, è uscita una versione differente dalla nostra)… Insomma, un pasticcio. E tale si potrebbe tranquillamente definire il film, indeciso com’è sulla giusta strada da intraprendere. Non che la colpa sia tutta da attribuire a Roland Joffè, ma il motivo per il quale un regista un tempo “impegnato” come lui (Urla del silenzio, Mission) abbia scelto di tornare sugli schermi con una storia simile, rimane un mistero per tutti; storia che già di per sé, appunto, non brilla certo per originalità: quella di una modella giovane, stupenda e viziata che viene rapita dal maniaco di turno. Sulle prime Joffè sembrerebbe interessarsi all’aspetto più puramente teorico, filtrando lo schermo attraverso l’occhio di telecamere e macchine fotografiche, quasi a voler instaurare un rapporto voyeuristico con lo spettatore; ma è un pretesto lasciato subito cadere, perché in men che non si dica Captivity si trasforma nella brutta copia carbone di un Saw qualsiasi, moltiplicando i dettagli cruenti e lasciandosi andare a una cattiveria sempre gratuita. A due terzi, poi, il film cambia nuovamente registro con un colpo di scena che i più avevano fiutato sin dall’inizio. Insomma, cosa pensare? Il problema di Captivity è proprio questo: lascia interdetti per la mancanza di logica, di ritmo e di coesione, preferendo affidarsi alla convinzione che per fare un bel thriller/horror, oggi, sia sufficiente spingere il pedale sul gore e il truculento, quando invece sono proprio registi come Eli Roth a denunciare il degrado di tutto questo; con la violenza che ci attrae, che vogliamo e che ci trasforma (Hostel) e che poi diventa un incontrollabile soggetto a sé stante che si spande a macchia d’olio (Hostel part 2). Forse Captivity vorrebbe solo creare raccapriccio, ma non riesce a convincere un solo minuto su quale sia la sua vera ragion d’essere. Da un soggetto ampiamente stravolto (come già accadde per In linea con l’assassino e Cellular) del geniale Larry Cohen.

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Titolo originale: id

Regia: Roland Joffè

Interpreti: Elisha Cuthbert, Daniel Gillies, Priutt Taylor Vince

Distribuzione: Filmauro

Durata: 96’

Origine: USA/Russia, 2007

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